Branduardi, allunaggi e notazioni inverse…

Un post su 37Signals mi ha fatto tornare con la mente a molti, molti anni fa. Quando l’informatica praticamente non esisteva, almeno nel sentire comune. I calcolatori erano giganteschi pachidermi relegati in misteriosi istituti scientifici o tecnologici, senza praticamente alcun impatto nel vivere comune.

Non parliamo di Internet. Nemmeno ci si pensava. E’ un privilegio, dopotutto, aver vissuto l’epoca pre-internet e vivere la presente. Si capisce bene la differenza, cosa che le generazioni più giovani già non possono fare. E’ incredibile, ma non c’era Google, non c’era Yahoo. Non c’era la posta elettronica. Non esistevano i siti web. 

Se pensi all’indietro, allora capisci la lentezza. Metti ti veniva in mente un pezzetto di una canzone. Potevi passare settimane a rigirarti il brandello di testo e musica nella testa, chiedere, ipotizzare, cercare nei tuoi dischi e in quello degli amici. E non trovarlo. Non potevi buttare la stringa di testo dentro Google e risolvere. O un pezzetto di una poesia, letta chissà dove e poi per buona parte scordata. Poteva rimanere un mistero per anni.

Oppure un libro, cercavi un libro e passavi librerie e librerie. Vediamo, non c’è, forse si può ordinare, torni la prossima settimana. Aspettavi. In fondo il tempo aveva un valore, l’attesa – e la conseguente pazienza – erano necessarie, per portare a termine una ricerca…

Ricordo quanto ci misi a trovare il primo disco di Angelo Branduardi. Circa diciottenne, avevo scoperto la musica “moderna” con Alla Fiera dell’Est. Allora ero andato indietro a trovare il secondo, La Luna, e poi a cercare il primo album, l’omonimo Angelo Branduardi. Giorni e giorni a cercare in tutti i negozi di dischi. Mi ero fissato, lo dovevo trovare. Alla fine lo trovai (su musicassetta, altro oggetto decisamente desueto) da Ricordi a Piazza Venezia (che tra l’altro non c’è più – Ricordi, non Piazza Venezia…).

Fu una ricerca che si snodava nel tempo.

Ora sarebbe questione di pochi secondi, sul web. Cavolo, pochi secondi. Quale lentezza ci può essere?

Non parliamo poi di Facebook. Social network? Nemmeno nei romanzi di fantascienza.

Arrivarono le calcolatrici, sì. Era il top della modernità. Mio papà scienziato, astrofisico, le usava, aveva adottato le HP, a casa a noi piccoli ci spiegava i vantaggi, le pecularità. C’era questa cosa della notazione polacca inversa che a me sembrava tanto strana e lui mi spiegava come invece fosse più logica. Non metti l’uguale a fondo dell’operazione, ci metti il segno. Strano….

Un calcolatore della serie HP

Poi c’era il fatto pazzesco che erano programmabili. Potevi memorizzare una serie di istruzioni per farle eseguire in sequenza, con degli input da tastiera per intervenire sul flusso delle operazioni. Per capire la meraviglia, ricordatevi che non c’erano ancora i personal computer. E questi piccoli aggeggi che sapevano tutta la matematica, e li potevi programmare, erano una cosa impressionante. Riviste specializzate riempivano pagine e pagine. 
Ricordo che nel manuale di uno degli HP (ne abbiamo avuti più di uno), c’era un gioco di un allunaggio simulato (chiaramente era da mettere in memoria immettendo le istruzioni nella calcolatrice, una per volta, attento a non sbagliare). Dovevi dosare il carburante, per non schiantarti sulla superficie lunare, o finirlo troppo presto (con identico risultato). Tutto con numeretti che comparivano a video (chiamiamolo così). Con un pò di fisica sotto. Semplice. Eppure ci ho giocato un sacco. 
Ricordo la frase con cui si concludeva uno di questi libretti acclusi agli HP. Era qualcosa così: Siate contenti di poter programmare. Newton e Galileo ve lo invidierebbero di certo.

Che tempi. Li capirebbero, i ragazzi dell’era facebook?

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Pubblicato da Marco Castellani

Marco Castellani, astronomo, divulgatore, scrittore

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