Mio figlio Andrea dice che ormai non ho speranza, sono caduto nella rete di attrazione di Apple. iMac, MacBook, iPad e (arrivato appena ieri) iPhone (lo so, avevo detto che ero contrario) … Insomma ce n’è di che per farmi riguardare dai più come un fanatico della casa di Cupertino. Con tutte le più disparate valutazioni che se ne possono trarre.
Però ogni medaglia ha l’altra faccia. E l’altra faccia ha una bella G stampata sopra. Eh sì, sono un fan di molti prodotti Google (anche di alcuni tristemente scomparsi, come ad esempio Google Wave… troppo innovativo per il suo tempo, forse). Da fan di Google, ho atteso con interesse il debutto di Play Music. La promessa di poter mandare sulla nuvola tutta la mia collezione musicale in modo da poterla ascoltare in streaming da qualsiasi dispositivo, mi pareva assai allettante. Se aggiungiamo, in maniera gratutita, ecco che la cosa acquista una sua specifica rilevanza.

L’album in basso a destra, ad esempio,  è pura arte… 🙂
Allora il primo giorno di apertura, mi sono segnato.

Con un po’ di pazienza ho poi migrato i miei 3000+ brani musicali sui server di Google. Così ho cominciato a giocare un po’ con l’interfaccia. Devo dire che sono compiaciuto. Google è riuscita a realizzare un player musicale che si gestisce da dentro il browser (come tutto ciò che fa Google). E ci è riuscita piuttosto bene. L’aspetto è semplice e pulito, l’importazione dei brani da iTunes è piuttosto buona: vengono caricate anche le playlist e perfino il numero di ascolti già effettuati. La semplicità fa sì che ascoltare musica attraverso Google Play sia semplice e piacevole, da computer. Ci sono anche playlist automatiche (peccato non vi siano  – ancora – le smart playlist, playlist dinamiche che si aggiornano quando cambiano i brani che soddisfano gli assegnati criteri di selezione). Certo non c’è la spettacolare vista Cover Flow di iTunes… ops, non c’è più nemmeno dentro iTunes, con l’ultimo aggiornamento è tristemente sparita (decisione che da molti non è stata considerata esattamente una ottima mossa). 

Dunque ottimo e comodo. Da non trascurare, esiste un ottimo store interno. Niente male, nemmeno qui. I prezzi sono leggermente più bassi di quelli di altri classici negozi di musica digitale. Poi “ovviamente” gli acquisti sono aggiunti automaticamente ai propri brani sulla nuvola, ed anzi i brani acquistati su Play non vengono conteggiati per quanto riguarda il limite di 20000 brani.

Ma ora ecco, vengo alla cosa davvero interessante:  mi sono accorto che l’uso di Google Play mi sta portando ad un sottile ma percepibile cambio di paradigma. Qualcosa che riguarda l’acquisto e la fruizione della musica stessa. Mi spiego, mettiamo che io voglia acquistare il nuovo lavoro dei Grisembergs Revival. A seconda dell’era tecnologica corrente (ne ho vissute un po’, ehm) avrei a disposizione diversi moduli (trascuro le opzioni piratesche a tutti note, anche per non farmi chiudere il blog…)

  • Modulo A: vado a cercare in un negozio di dischi il vinile o la musicassetta o (in tempi più moderni) il CD. 
    • nota: il modulo A è spesso iterativo: se non trovo il disco in un negozio, provo con un altro, un altro… (molti molti anni fa, ricordo che la ricerca del primo di Angelo Branduardi durò a lungo e coinvolse diversi negozi di Roma, ed anzi si spinse fino ai Castelli Romani). 
    • Il modulo A è anche intrinsecamente di tipo pre-Internet; c’è il caso che molti lettori non ne abbiano proprio esperienza
  • Modulo B: compro il CD in un negozio online e aspetto che arrivi
    • nota: qui siamo – ovviamente – in epoca Internet, eventualmente pionieristico. Quando ancora Internet non lo conosceva nessuno tranne che pochi che al lavoro avevano a disposizione questa novità (tipo gli astronomi, tipo me), ricordo che uno dei primi siti commerciali fu CDNow, probabilmente molti tra i più giovani non ne avranno mai sentito parlare…
  • Modulo C: compro la musica del disco in formato digitale (da iTunes, Amazon, etc…). Scarico i files e me li ascolto. Il tempo di attesa è in pratica pari allo scaricamento.
  • Modulo D: acquisto la musica (esempio, Play Music, o anche Amazon MP3) e la ascolto subito, in streaming Internet. Prima ancora di scaricarla. Anzi, c’è il caso che non la scarichi subito. Anzi, c’è il caso che non la scarichi proprio.
Ecco in pratica mi sono accorto dopo un po’ che con Google Play stavo iniziando ad usare il Modulo D.

Ma non è questo il punto. Gli è gli altri cominciavano a sembrarmi vecchi. Scaricare la musica mi sembra vecchio, come prima mi sembrava vecchio andare a comprare un CD. Mi sembra una dilazione inaccettabile tra l’acquisto e l’ascolto. Facciamo il caso di un acquisto come le nove sinfonie di Beethoven in una botta sola (a questo prezzo, perché no…). Non è che mi va di scaricare tutti i files. Preferisco ascoltare da subito. Scaricherò quando dovrò portare i brani su un dispositivo non connesso ad Internet (circostanza che che col passare del tempo si fa sempre più elusiva)

Ora quello che compro è immateriale due volte. Non solo non è su un supporto fisico (primo livello di astrazione) essendo costituito da files. Ma i files non sono nemmeno sul mio computer (secondo livello di astrazione). In pratica, quello che sta succedendo con sistemi simili a Play Music, è che compro il diritto di riprodurre della musica. Che fisicamente dovrebbe risiedere in uno dei più di novecentomila server di Google. E che potrebbe rimanere sempre lì, per l’uso che ne dovrò fare.

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