Certo il titolo di questo post è un po’ provocatorio: uno certo potrebbe rispondere, legittimamente, di sì. Sì, certo che si può fare a meno di Facebook, non è (ancora) indispensabile come l’aria, il cibo, l’amicizia, l’amore.
Posto questo, si può cercare comunque di capire se si può ancora organizzare la propria vita online senza finire a gravitare, più o meno continuamente, sui servizi offerti dal celebre social network. Prima di tutto dobbiamo comprendere che stiamo vivendo un momento decisamente particolare nella storia del web. Per la prima volta, una frazione significativa dell’uso di Internet si trova ad essere completamente convergente -in pratica – su una sola piattaforma.
Una piattaforma – dobbiamo aggiungere – che ormai viene perfino utilizzata per fini squisitamente “istituzionali”: si pensi a scuole, università, enti di ricerca e di altro genere, stazioni radio e televisive, a quanti di questi hanno un profilo su Facebook e/o una pagina, sovente deputata alla gestione di parti chiave della logica di queste istituzioni, come l’interazione con il pubblico. Ormai senza essere su Facebook non si riesce ad accedere ad una serie di servizi di indubbia comodità, quali il gruppo degli studenti di una data facoltà, il profilo della propria ditta o istituto di ricerca, oltreché vari servizi di diverso tipo.
Facebook. Se lo conosci, non fa male. O almeno, non troppo… 🙂
Insomma Facebook ha acquisito una importanza percentuale – relativamente alla totalità dello spazio espressivo informatico – che in passato è stato appannaggio di differenti servizi, come la posta elettronica stessa, oppure Usenet. C’è però una bella differenza, rispetto al passato. Che i servizi citati sono/erano davvero di tutti, mentre Facebook è una proprietà privata. E’ tutta un’altra musica: stavolta è una azienda, che ti permette di usare i suoi servizi, alle sue regole e alle sue condizioni (e non potrebbe essere che così).
Diciamolo pure, è la solita storia: quando ci siamo iscritti a Facebook abbiamo detto va bene ad una serie di condizioni scritte in legalese, che nessuno ha mai letto (o comunque si ricorda), per le quali possiamo essere certi che siamo più o meno ospiti, e che può accadere che anche se ci comportiamo bene, qualcuno decida di mandarci via. O per lo meno, di toglierci le cose che ci siamo portati con noi.
Lo dico non per sminuire la portata di Facebook, senz’altro uno degli esperimenti più interessanti di comunicazione sociale su scala planetaria. Lo dico perché accade. Uno entra e pensa “beh se non mi comporto male non ho problemi, se non carico le foto di mia sorella in topless che balla ubriaca sul tavolo del ristorante o gente che strangola gattini, non incorrerò in nessun ostacolo, in nessun vincolo alla mia espressività”.
In fin dei conti lo pensavo anch’io, fino a qualche tempo fa.
Poi però mi sono accorto che non è esattamente così.
Una mia amica sta ancora cercando di raccapezzarsi, perché un suo gruppo è stato di punto in bianco cancellato da Facebook. E non era un gruppo molto pericoloso, visto che l’argomento era a cavallo tra la psicologia e la spiritualità cristiana. Inoltre, in ogni caso, era un gruppo chiuso. Ma tant’è. Da un giorno all’altro non c’era più.
Richieste di chiarimenti a Facebook non hanno avuto esito. Certo, si può sempre riaprire. Ma il materiale accumulato fino a questo punto? Questo è solo un esempio, molti altri se ne posso fare. So che gruppi non molto “politicamente corretti”ma “inoffensivi” (come quelli che promuovono la famiglia tradizionale – uomo e donna -come ambiente migliore per allevare dei bambini), hanno vita difficile al momento. Anche qui, storie di gruppi che spariscono di punto in bianco.
E’ ben noto che le inoffensive foto di mamme che allattano non hanno – pure loro – vita facile sul network. Mentre gruppi (perlomeno) di dubbio gusto proliferano tranquillamente.
Al di là del caso specifico, comunque, c’è molto di cui riflettere.
Piaccia o non piaccia, siamo in miliardi a delegare la gran parte della possibilità di espressione in rete nelle mani di pochi (si spera) illuminati gestori del network. I quali probabilmente si orientano in modo da massimizzare le rendite, non in base ad alti ideali. E come dar loro torto, da un certo punto di vista?
Come può cambiare tutto ciò? Non vedo soluzioni semplici. Ci vorrebbe uno standard per interagire con le reti di social network, così come c’è uno standard per la posta elettronica. In questo modo i vari portali sarebbero solo collettori di “unità espressive elementari” che possono sempre migrare da un collettore all’altro. Torneremmo finalmente proprietari dei nostri contenuti, e del loro destino. Padroni, non ospiti.
Ma la cosa è ampiamente fantascientifica, lo ammetto.
Che fare? Forse l’essenziale, in questa fase, è appena rimanere coscienti di ciò che accede. Demonizzare Facebook (o il servizio dominante di turno) non serve, è ridicolo. Tanto quanto incensarla. Si tratta semplicemente di utilizzarla, se ne abbiamo vantaggio, ma rimanendo consapevoli di cosa stiamo facendo. Non rinunciare a ragionare, insomma.
Almeno un po’, almeno ogni tanto.