A volte penso che questi nativi si siano persi una cosa formidabile. La sensazione frizzante di una cosa nuova e bella che stava arrivando. Non capita tutti i giorni, una rivoluzione così. Ricordo la meraviglia di caricare una pagina web, anche semplice semplice, solo testo e una figura piccolina. Niente interattività, niente javascript, AJAX, applet, cose che si modificano da sole, niente. Pagina totalmente statica.
Ma già realizzare di poter seguire una serie di collegamenti, che ogni pagina può essere collegata ad una miriade di altre, in un gigantesco e potenzialmente illimitato ipertesto, già il presentimento timido di iniziare dunque un’esplorazione che virtualmente può non avere mai fine. Già questo, già questo rimarrà per sempre una cosa straordinaria. Che solo una piccola parte di umanità potrà mai aver provato (sì, posso dire, per quel che vale, io c’ero).
Ancora di più, la scoperta di poter creare dei contenuti ed esporli in questa rete. Che siano potenzialmente fruibili in Giappone, in Asia, in Antartide. Dovunque. Ma come poterlo pensare, prima di Internet?
A ripensarci, è avvilente che usiamo tutto questo, che sfruttiamo questa rete di meraviglia, a volte, semplice-mente per questionare su Facebook. Ma ci sta, anche questo ci sta. E’ umano, totalmente umano. L’importante è rendersi conto, rendersi conto di che strumento formidabile abbiamo a disposizione. Sottrarlo un momento dal velo opaco dell’abitudine – sotto il quale l’abbiamo sepolto – per meravigliarci, di nuovo.
Dopotutto Internet, senza la meraviglia, è morto, è una cosa morta.
Con la meraviglia e lo stupore, veicolati in rete, possiamo fare grandi cose.
Ora, e sempre.