Davvero interessante la prima puntata del 2019 di Eta Beta, la trasmissione di Radio 1 condotta da Massimo Cerofolini, sull‘ambigua spiritualità del web. Con Massimo, erano in dialogo Marco Guzzi (filosofo, fondatore dei gruppi di ricerca interiore Darsi Pace), Vito Mancuso (teologo, autore del libro La via della bellezza) e Paolo Benanti (docente di Etica delle tecnologie all’Università Gregoriana e autore di Realtà sintetica. Dall’aspirina alla vita: come ricreare il mondo?).

Difficile, farne un resoconto. Anzi, improponibile. D’altronde, con ospiti di questa natura si crea invariabilmente una rete di connessioni e di ramificazioni di pensiero, tali che una semplice puntata di una ventina di minuti è sufficiente appena ad aprire delle piste, a suggerire degli approfondimenti, e non certo a ragionare esaustivamente sul tema – peraltro di per sé stesso davvero importante e complesso, anche profondamente controverso.

Dunque il rimando all’ascolto attento della puntata è tutt’altro che di prammatica, ma risulta fondamentale, proprio per sviluppare autonomamente quelle parti che risultano più risonanti, nelle proprie corde interiori.

Personalmente, mi ha colpito molto il comprendere come anche la fede cambia con l’avvento del digitale: non è mai da intendere come un universo a sé stante (e come potrebbe, del resto?) ma riflette e riverbera ogni impulso, ogni segnale che attraversa il mondo “secolare”. La spiritualità autentica è sempre in dialogo con il mondo, e non è impermeabile nemmeno a quelle acquisizioni della tecnica che rimodulano potentemente il nostro approccio con il reale (e va da sé che Internet e l’avvento dei social network è proprio una di queste).

Importante notare come questa riflessione avvenga in un momento della storia in cui l’entusiasmo incondizionato per le possibilità e la “virtuosità” della rete mondiale – rispetto a ad alcuni anni fa – è drasticamente calato, tanto che tra i propositi del nuovo anno, può starci (e ormai nessuno si meraviglia) quello di “usare meno Internet”, come recita un articolo pubblicato su Internazionale.

Ma il ventaglio di proposte (perché le intenderei esattamente così, come proposte lasciate al libero approfondimento) della puntata è assai vasto. Penso ora a certi temi sollevati da Guzzi, penso all’irriducibilità della coscienza umana ad una macchina digitale, ad esempio. Se la macchina non sostituisce il cervello, e non lo farà mai, resta aperta la questione della incommensurabilità del nostro sistema della coscienza rispetto a qualsiasi interpretazione meccanicistica. Rimane tutta viva la nostra misteriosa, splendida singolarità. E sempre da questo intervento, trovo suggestivo la lucida constatazione che i cosiddetti big data non risolvano o mitighino questo “problema della coscienza”, ma semmai lo rilancino, a nuovi emozionanti livelli.

Evidente, come ricorda Guzzi, che le tecnologie siano del tutto “neutrali”, né negative né salvifiche. E’ un pensiero errato quello che porta ad esprimersi diversamente, a demonizzare Facebook oppure ad incensarlo. La verità – dice sempre Guzzi – è che ci vuole una formazione, per usare questi strumenti evoluti.

L’esposizione di Vito Mancuso si gioca, mi pare, su di un registro più critico riguardo sull’impatto di queste tecnologie sulla vita reale. Bello e validissimo in ogni caso il richiamo di Mancuso al fatto che la bellezza è creativa, e non può essere digitale o automatica, in nessun modo. Suggestivo anche il suo connettersi alla imperfezione analogica come via perpetua di bellezza e dunque di fascinazione (sto leggendo il suo libro sulla bellezza, ma sono ancora un po’ all’inizio, abbiate pazienza).

Sul cambio di paradigma in rapporto alla spiritualità si sofferma debitamente Paolo Benanti, per il quale il digitale cambia proprio il modo di vedere la realtà. Riformulando perfino categorie come “salvezza” o “giustificazione”, un tempo prerogativa dell’approccio spirituale alla vita. E non solo, perché la fede si viene a modificare con il cambiamento stesso della relazione di natura “credente” che ora viene influenzato in maniera tutt’altro che trascurabile dal web e dall’uso che ne facciamo per “recuperare” informazioni e orientamento nel mondo.

Vorrei però terminare riprendendo quanto dice Marco: Internet è uno strumento formidabile di connessione tra gli umani, uno strumento in sé assolutamente neutrale. Dovremmo guardarci allo specchio, e capire che la stupidità di Facebook è il riflesso di un nostro modo “stupido” o istintivo di agire, di manifestare delle parti di noi che ancora attendono di essere guarite. Un modo che possiamo correggere, con pazienza, lavorando su noi stessi.

In sintesi, ci vuole realmente una educazione e formazione all’uso del mondo digitale. Proprio per la sua importanza, e proprio nella coscienza che siamo in una epoca di modificazione accelerata di sistemi di pensiero e di credenze che hanno resistito per secoli, sostanzialmente uguali a sé stessi.

Dobbiamo mettere a tema argomenti che rischiano di passare sottotraccia come scontati, sui quali invece la riflessione è più che mai necessaria. Proprio per la consapevolezza che vogliamo acquisire nell’uso della tecnica, perché dispieghi il suo carattere creativo (tecnè vuol appunto dire arte, in greco). Sempre di più, a vantaggio di una umanità davvero “nuova”, anche nell’uso di questi strumenti.

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