Era molto, che molti di noi lo aspettavano. E credo si possa dire, si possa dire senz’altro, che da qualche giorno siamo tutti un poco più ricchi. Dal 29 settembre, per la precisione. Giorno in cui il catalogo del “primo Battisti” (quello del sodalizio con Mogol, che ha prodotto moltissimi indiscutibili capolavori), è approdato finalmente sulle piattaforme di ascolto in streaming. Ovvero, nel luogo esatto dove in questo momento storico, si ascolta la musica, principalmente. 
Verso la fine degli anni ’60
Come ogni fan di Lucio Battisti già sa, anche la data di questo evento non è una data scelta a caso. Riprende direttamente il titolo di una sua celebre canzone, una delle prime, appunto. Comunque, che Lucio Battisti ci sia mancato, su Spotify (e simili servizi ovviamente), è per me la semplicissima verità. Che ci sia mancato molto, intendo.

Così se pur rimane, per me, il desiderio (o il sogno) di avere a disposizione il catalogo completo, comprensivo del secondo periodo di Lucio, quello in collaborazione con Pasquale Panella (tanto bello e luminoso quanto ancora sostanzialmente non compreso) c’è comunque tutta la gioia di avere intanto alcuni dei suoi album più celebri, finalmente disponibili sulle piattaforme di streaming. 

Che è davvero un arricchimento, per tutti. Non entro nel merito delle controversie legali che hanno tenuto le splendide melodie di Lucio lontane da Spotify e soci, non mi interessa qui. Dico soltanto che non sono per nulla d’accordo con chi ritene questa una commercializzazione e uno svilimento di alcuni degli album più belli della musica italiana. Au contraire! 
Pensiamoci un momento. Ormai l’ascolto in streaming è la modalità normale di fruire della musica, per moltissime persone. Iniettare le canzoni di Battisti in questo circuito è riportarle in un certo modo in vita, rimetterle a disposizione di tutti, veramente. Permettere che questa musica fluisca finalmente fuori dal contenitore del CD, che ormai (in termini di modalità di fruizione) comincia a mostrare tutta la sua età.

No, non è che averli su Spotify è semplicemente avere aperto un’altro canale di fruizione. E’ che questo canale è particolarmente ricco e ha delle sue peculiarità. Brani come Emozioni, oppure Non è Francesca – brani che sono come la pietra angolare di tanta espressività musicale del nostro paese – di fatto, facendosi liquidi, circolando in forma di bytes nei circuiti musicali (ufficiali e legali) entrano di fatto nel regno dell’intelligenza artificiale, e di tutto quel che si può fare con essa.

Non sono ascoltabili soltanto come album, appunto. Ben altro, già li aspetta. Infatti, esplodono nei colori della modernità, che vuol dire che diventano il centro propulsore di compilations, playlist, “radio” tematiche, e ogni altra derivazione che i sapienti algoritmi dei servizi di streaming oggi possono proporre. Escono prepotentemente dal “compartimento stagno” del compact disc, sostanzialmente  e costituzionalmente refrattario ad ogni ibridazione e contaminazione, digitalmente asettico e in sé stesso conchiuso, e si aprono al resto del mondo (musicale), fecondano e fermentano una serie imprevedibile e quasi insondabile di possibili articolazioni. Tutte da indagare e da godere, per chi è appassionato. 
Insomma, il punto è che le canzoni di Battisti in qualche modo, crescono, con questo passaggio importante. Diventano qualcosa che non era nemmeno pensabile, nel momento in cui sono state concepite. L’arte che spiazza e decentra incontra la precisione informatica dei più sofisticati algoritmi, un matrimonio tra diversissimi che, forse proprio per questo, promette di durare ed essere anche molto fecondo.

Per dire, ora una delle tante playlist di musica italiana non sarà più costruita attorno ad una mancanza, ma guadagnerà senz’altro caratteri di integrità e completezza, mai azzardati prima di questo fine settembre.

E il consumo della musica di Lucio Battisti diventa anche tracciabile, monitorabile, indagabile. Alfine, esposto e disposto al data mining, in tutte le sue forme, presenti e future. Al momento che finisco di scrivere questo post, il conteggio delle riproduzioni dei brani più gettonati (termine alquanto desueto ma in fondo adeguato) del nostro, sono (guarda un po’) quel 29 settembre nel quale tutta questa storia ebbe inizio (577.509) poi Mi ritorni in mente con 540.761 riproduzioni e appena dopo, immancabile capolavoro, Il mio canto libero (501.338 riproduzioni). Sono i tre brani che, all’alba del 3 ottobre, hanno passato il mezzo milione di riproduzioni. E sono passati appena quattro giorni e un pochino, dall’apertura del catalogo. C’è da scommettere che quando leggerete queste righe, i numeri che ho riportato siano già ampiamente superati.

Insomma. C’è bisogno di buona arte, di buona musica, di buon parlare, in questo mondo, troppo spesso asservito alla distrazione e al chiacchiericcio. Mettere Lucio Battisti in rete risponde (al di là delle ovvie logiche commerciali, sempre presenti) a questo bisogno, va in questa direzione. Dunque è una cosa bella, luminosa. Che fosse prudente “preservare” Lucio dai social, dalla rete, come dicono alcuni? Forse, in un certo senso. Teniamo conto però che troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante, come ci ricorda proprio il nostro cantautore (La collina dei ciliegi, ovvero qualcosa che sta alla musica popolare italiana, per lo splendido equilibrio, come una sonata per pianoforte di Mozart sta alla musica classica).

Aggiungendo, e quasi sempre dietro la collina il sole.

Quando avremo anche il catalogo del secondo Battisti, i meravigliosi cinque album con Pasquale Panella (tanto sperimentali quanto autenticamente godibili) avremo ancora un poco più di sole, nelle orecchie e sulla pelle, in ricircolo nel cuore. Per ora, godiamoci queste piccole gemme. Ironiche, scanzonate, profonde, canticchiabili. Diciamolo, eterne.

Grazie Lucio. Ci ritorni in mente, oggi più che mai.
E comunque, ci manchi.

Loading

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *