Uno dei sottoprodotti più interessanti di tutta la bagarre che c’è stata (e ancora c’è) in seguito all’acquisizione di Twitter da parte di Elion Musk, con tutto il casino derivato anche dalle mosse incongrue del noto miliardario (come Paolo Attivissimo ha gustosamente documentato nel suo podcast, alcuni giorni fa), è che molta gente ha cominciato, come dire, a guardarsi intorno.
Sì, a cercare di capire se ci sono alternative praticabili a Twitter, per esempio. Sarebbe peraltro legittimo dubitare di una piattaforma finita in mano ad una persona che, in appena un giorno, ha licenziato metà dei dipendenti, si è mosso in modo randomico per cui si è fatta grande confusione con i famosi “bollini blu” di autenticazione, e infine – chicca delle chicche, probabilmente – ha affidato ad un sondaggio online una cosa tanto delicata quanto il ritorno su Twitter di Donald Trump.
Per inciso, sull’esito (di poco) favorevole al rientro di Donald (che peraltro ha detto grazie ma anche no) Elion si è affrettato ad affermare Vox Populi Vox Dei. Peccato che però tale conclusione – nel caso di Twitter almeno – sia parecchio discutibile, come altri hanno subito evidenziato.
Una delle alternative più interessanti a Twitter, è indubbiamente Mastodon. Esiste già da tempo, ma è finito sotto i riflettori solo adesso che molta gente sta ragionando seriamente sul trasferirsi altrove (se invece pensavate a Jaiku o Quaiku – complimenti, avete buona memoria – sono ottimi sì, ma sono anche morti).
Ma qui, bisogna precisare. Mastodon non è un sito. Mastodon è un software (open source, tra l’altro). Di Mastodon, in giro, ce ne sono moltissimi. O meglio, di istanze Mastodon, per essere precisi. Ognuno può aprire un server e istallarci sopra Mastodon (il quale si scarica gratuitamente dalla rete), creando una comunità con le sue specifiche regole (debitamente rilanciate all’occorrenza). La gente poi si iscrive e pubblica messaggi, in modo concettualmente non molto diverso da Twitter.
L’ho fatta semplice, lo so. A dire il vero, ci sono alcune diversità, che riflettono peraltro l’impostazione filosofica differente, non orientato a trattenerti nella piattaforma: ma esulano un po’ dal nostro discorso, dunque lasciamo ad ognuno il gusto di scoprirle piano piano. D’altra parte, è certo più bello scoprirle da soli, mentre si frequenta l’ambiente, piuttosto che dover digerire una lista tutta di seguito, che poi nemmeno la si ricorda.
In ogni caso, dopo un po’ si capisce che il vero punto di forza di Mastodon non è tanto la specifica conformazione del software – quanto è simile e quanto è diverso da Twitter (cosa che può piacere o non piacere, a seconda dei gusti) – ma è qualcosa che sottende tutta la faccenda, ovvero l’adesione allo standard chiamato ActivityPub. Personalmente, questa è la cosa che mi ha affascinato di più.
In breve, ActivityPub è un “protocollo di reti sociali” fatto in modo che differenti implementazioni di un servizio (ed anche, differenti servizi) si possano parlare tra loro. Un po’ come la posta elettronica: se io sono su Google e tu sei su Hotmail possiamo tranquillamente scambiarci messaggi, non è certo necessario avere un account sulla medesima piattaforma. Analogamente, se ho un account su Mastodon.uno e tu sei su Sardegna.social possiamo seguirci a vicenda e possiamo interagire senza alcun problema. Tutto grazie a questo protocollo. E la cosa funziona anche attraverso diversi servizi, purché ovviamente aderiscano ad Activity Pub.
Insomma in questo schema non si gravita più intorno a pochi grandi “attrattori” (gli usuali Facebook, Instagram, Twitter…) che poi sono in mano ai soliti pochissimi e ricchissimi imprenditori. I quali, come sappiamo, sono naturalmente strutturati per massimizzare il profitto, che all’atto pratico vuol dire acquisire i tuoi dati a fini commerciali e cercare di prolungare il tempo che spendi sulla piattaforma stessa, in modo da servirti maggiore pubblicità (che poi se questo tempo lo passi mentre ti avveleni in discussioni per la politica o lo sport, comunque ai loro fini va bene tutto). Non si è più preda di algoritmi che scelgono loro cosa presentarti in bella evidenza e cosa nasconderti, insieme agli immancabili “consigli per gli acquisti” basati sulla tua cronologia di navigazione e sulle tue interazioni. Insomma – oserei dire – non sei più un soggetto da sfruttare, ma sei di nuovo una persona.
Ogni istanza Mastodon ha le sue regole: se non ti piacciono, puoi migrare da un’altra parte, fare casa su un’altra istanza. Non sei soggetto a come un Elion si alza la mattina, a quello che decide di fare con le spunte blu o con la moderazione dei messaggi. Sei indubbiamente più attivo, più protagonista. Se ci pensi, già il fatto di scegliere l’istanza cui aderire, implica un ragionamento, un’analisi. Io ho “riattivato” un account su Mastodon.uno, che avevo aperto in via sperimentale periodo della pandemia, ma non avevo realmente utilizzato. E sono entrato anche in social.vivaldi.net, con le credenziali che avevo già in quanto utente della community di Vivaldi, il mio browser preferito. Due istanze, perché su Mastodon.uno, si parla prevalentamente in Italiano (è tra le regole di tale istanza), mentre vorrei testare l’accont su Vivaldi per esprimermi in Inglese. Vediamo. Comunque ribadisco, un account su un server solo è sufficiente per interagire con tutti gli utenti di tutte le istanze “federate”. Questo è il bello.
Ma potremmo dire, non solo Mastodon. Nel fediverso si trovano i corrispondenti di molti servizi commerciali. Al posto di YouTube c’è PeerTube, in luogo di Instagram trovi PixelFed, invece di usare Reddit puoi entrare su Feddit.
A proposito di Feddit, con un amico e collega abbiamo appena aperto uno spazio dedicato all’astronomia, naturalmente siete invitati a prendervi parte, anche solo per familiarizzare con questo fediverso, se volete. Dove appunto (e vogliamo proprio dimostrarlo) c’è spazio per tutto, anche per le stelle.
Tiro le somme? Beh, ad uno come me, che ha visto nascere Interet e trasformarsi progressivamente da un bellissimo ed eccitante esperimento ad una collaudata macchina commerciale per fare soldi, tutto questo profuma di “bei temi andati”. C’è dunque un sentimento di nostalgia, lo ammetto. Internet di una volta era pieno di tentativi e progetti, molti dei quali sono durati poco (come è nell’ordine delle cose), era comunque una fucina di idee e di creatività. C’era la meraviglia di questo nuovo strumento che muoveva la voglia di fare, di tentare, di immaginare. C’è anche il fermento e il friccichìo di una cosa nuova nuova. Vediamo come si evolve, se questo friccichìo assumerà nel tempo il sapore buono di una realtà amica, consolidata. Sperabilmente, lontana dei veleni di Twitter.
Così ora questo fediverso (che può vantare già più di sei milioni di iscritti, tra l’altro) mi pare una boccata d’aria rispetto all’idea poco eccitante di passare l’esistenza nei soliti siti dando soldi ai soliti che di soldi ne hanno già in esubero.
Già, i soldi. E come si finanziano questi siti? Beh è semplice, si finanziano con le donazioni degli utenti. Eticamente parlando, dopo un po’ che uno si trova bene in una istanza, su una piattaforma, forse anche solo una microdonazione tramite i siti appositi (segnalati su ogni istanza), può essere una buona idea. Anche qui si diventa parte attiva, non si viene sfruttati, si decide in autonomia chi e quanto finanziare: se si crede nella bontà di un progetto e si apprezza la dedizione di chi vi lavora, lasciare qualcosa viene naturale, come semplice moto di riconoscenza.
Ecco, mi piace pensare che prendere familiarità con questo fediverso ed il suo modello decentralizzato, multipolare, può essere un inizio di quel moto di consapevolezza che tanto auspichiamo, per il quale c’è molto altro da scoprire rispetto al tanto pubblicizzato metaverso, e c’è tanto da crescere.
Proviamo allora a percorrerla questa via, con la dovuta accortezza ma anche con un po’ di ingenua baldanza se vogliamo, perché ogni strada (piccola o grande) che non si snoda su panorami ormai consueti e già visti e rivisti, potrebbe riservarci alcune belle sorprese.