Tecniche di trasloco, da Geocities fino a Mastodon

In un certo senso mi ricorda quello che accadeva su Geocities, molti molti anni fa. Dove ti sceglievi un quartiere per abitare, a seconda dei tuoi gusti, delle inclinazioni, di quello che volevi pubblicare. Anche, dei vicini che preferivi avere. Ricordo che io ad un certo punto passai dal quartiere di CapeCanaveral al quartiere Paris/Bistro (i nomi degli arrondissement erano pensati al fine di organizzare tematicamente le varie pagine, per cui si vede già da questa mossa che la mia parte creativa stava lottando per emergere sempre più su quella razionale/scientifica).

Potevi appunto traslocare, se trovavi un quartiere che ti rappresentava di più. Certo, era appena un gioco, ma l’analogia con le vere abitazioni era straordinariamente potente,secondo me. A rinforzare la metafora, cliccando sul quartiere ti si apriva una pagina con delle casette connesse da una strada, ogni casetta ovviamente era la homepage di qualcuno: potevi cliccare ed entrare.

Traslocare è un’arte, dove la creatività trova ampio spazio…

Geocities era ovviamente un servizio centralizzato. Cambiare casa era appena cambiare indirizzo (sul web), ma non era niente di più. Per arrivare al presente, cambiare casa su Mastodon è un po’ diverso, in effetti. Vuol dire realmente cambiare. Migrare su un nuovo server (probabilmente), in una instanza differente, con persone diverse, regole diverse, amministratori diversi. Insomma un vero cambiamento.

Cosa che su Twitter – centralizzato pure lui – è piuttosto impossibile. Sei lì, c’è un capo (geniale ma eccentrico), delle regole a cui adeguarti. Ti piacciano o meno. Se non ti piacciono non c’è modo di cambiarle, o trovare un ambiente simile con regole diverse. Twitter è lì, è uno (soltanto). Se Musk decidesse di chiuderlo (come tanti altri servizi hanno chiuso nel tempo), non c’è nulla da fare. Non puoi trovare un altro Twitter, non puoi rimettere su Twitter.

Quando entri nel fediverso ti accorgi che le cose sono differenti. Puoi cambiare istanza quando ti pare, e la cosa è relativamente facile ed indolore. Io mi sono recentemente trasferito da mastodon.uno a poliversity.it, per esempio. Non perché nel primo ci stessi male, per carità. Solo che ho scoperto che poliversity.it corrispondeva molto meglio alla specificità del mio profilo: per quanto sia una istanza decisamente meno popolata (in questo momento indica 35 utenti attivi, laddove la prima ne vanta 13000), ho pensato che passare da una istanza generalista ad una tematica poteva essere una idea interessante. Poliversity – leggo sulla pagina di ingresso – è una comunità dedicata alla ricerca scientifica e al giornalismo, all’università e all’istruzione ed è nata per promuovere il diritto alla conoscenza e la corretta informazione. Ho pensato che per uno che dedica molta parte del suo tempo alla divulgazione, che fa parte con orgoglio del Gruppo Storie dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, che è in redazione in EduINAF, potesse essere una scelta ragionevole.

In effetti le istanze tematiche sono un’altra cosa che su Twitter te la sogni. Qui sono utili da praticare ed anche da esplorare. C’è in giro una ricchezza di istanze che nemmeno uno si immagina, se non ci mette il naso. E sparpagliate in questa, ci si trovano un sacco di colleghi astrofisici, per giunta.

Ognuno nell’istanza che ha scelto. Tanto ogni istanza comunica con ogni altra, grazie ad un protocollo di comunicazione ben definito, chiamato ActivityPub. Posso seguire chi voglio anche su mastodon.uno, anche se io non ci abito più. E quelli che mi seguivano (chissà come mai) continuano a farlo anche se ho cambiato casa. Non è intrigante tutto questo? Non è bella questa indipendenza, questa possibilità di spostarci che abbiamo, di non essere legati e incapsulati dentro un sistema? La possibilità di scegliere, di nuovo? Non tanto scegliere di aderire o no a Twitter, per dire. Ma di selezionare non solo un servizio ma una istanza specifica. Con la possibilità sempre aperta di migrare.

Un social web che abbracciasse davvero il fediverso sarebbe un social web che si affranca dalla schiavitù del commercio e della monetizzazione di ogni nostro comportamento e ogni nostro click. Che torna un po’ come era Internet agli albori, come vorremmo ancora che fosse, nello spirito. Ovvero, una novità perpetuamente interessante, uno strumento di comunicazione potentissimo e democratico, prima ancora che una macchina per far soldi.

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