Il mondo un poco alla volta

Sono un convinto sostenitore delle cose graduali (sono anche molto impaziente, ma questo rientra nelle normali contraddizioni dell’essere umano). C’è poco da dire, i fatti son questi: là fuori c’è un mondo incredibile, variopinto, mirabolante. Di una complessità irriducibile ad ogni schema. Infinitamente più colorato di tanti pensieri quotidiani. Un mondo che in gran parte, purtroppo, non conosciamo.

Studio da anni la varietà degli ambienti galattici ed extragalattici, a volte la racconto, trovando certo infinite sorprese. Tuttavia, ben pochi panorami spaziali possono tenere il passo con certe meraviglie che vediamo sulla nostra Terra. Ma ci sarebbe tanto, troppo da scoprire. Ci vuole, appunto, un percorso graduale, che si snoda sui giorni. Mi conforta molto l’idea di essere accompagnato, preso per mano, nella scoperta quotidiana della varietà del nostro mondo. Apprezzo il fatto di avere una finestra ogni giorno differente, su scenari che il più delle volte non conosco affatto. Non li contemplo mai, addirittura non li penso esistenti. Mi perdo la loro potenziale bellezza e complessità, semplicemente perché non ne sono mai venuto a contatto.

A metà ottobre mi aggiravo con il tablet per  una nebbiosa foresta… 

Tutto questo, per dire che trovo irresistibile l’idea dello sfondo quotidiano di Bing, il motore di ricerca di Microsoft (azienda verso la quale in questa sede non sempre sono stato tenero). Ovvero quella di esplorare il mondo, come riportato nella pagina, una foto alla volta. Mi piace sì tanto che ho istallato Microsoft Launcher sia sul telefono (Samsung Galaxy M31) che sul tablet (Huawei Mediapad M5). Messo insieme al mio laptop Samsung Galaxy Book Ion, ho lo stesso background aperto, diciamo, a varie dimensioni nella mia giornata di lavoro. Tanto mi sono abituato, che mi dispiace che non ci sia qualcosa del genere nativo per l’iMac (c’è però un eccellente programmino che costa due lire, funziona bene, e che ovviamente ho acquistato). Mi spiego, non è che manchino sfondi a rotazione per cui ogni giorno, oppure ogni ora, ti cambia panorama sotto il naso mentre tu fai altro, ti rimpalla dalle Cinque Terre ai grattacieli di Los Angeles. Assolutamente. Ma sono cose automatiche, non c’è quel senso di sorpresa che invece posso coltivare quando aspetto che il mio sfondo cambi, in un modo (verso un mondo) che ancora non conosco.

Lui, il beccofrusone… 

Mentre scrivevo l’abbozzo di questo post, vedevo una foto di una volpe rossa, presa dalla Foresta Nera in Germania. Ora che riprendo a lavorare sul testo, mi trovo davanti ad un simpaticissimo beccofrusone canadese (l’avevate mai debitamente considerato, prima di adesso, un beccofrusone canadese? Dite la verità). Poi chissà, voleremo in Messico o scopriremo (come spesso accade) qualche bellezza paesaggistica italiana? Ogni giorno una nuova tappa.

Certo, Apple ha fatto le sue scelte per quel che ti propone come carta da parati informatica, e sono anche interessanti. Su macOS è simpatica l’idea dello sfondo che cambia con l’ora del giorno, così che lo stesso panorama ti appare sotto un cielo luminoso (e un poco nuvoloso, invero) oppure trapuntato di stelle, se lo guardi di notte. Però non è la stessa cosa. All’inizio questa cosa dello sfondo che si fa “notturno” mi pareva una cosa veramente intrigante. Dopo un po’ mi sono accorto che mi stanca. E le cose non sono migliorate con il passaggio a Monterey. Apple, fammi vedere cose nuove, e spiegami cosa sto vedendo. Va bene questo sfondo stilizzato del canyon di Monterey, ma insomma non è che qui ci passiamo la vita, dài. Portami altrove.

Così ci siamo lasciato alle spalle – senza troppi rimpianti – l’area di Monterey, di Big Sur e tutti questi posti molto californiani: ora ci avventuriamo giorno per giorno in nuovi territori (o territori già visti ma rivisitati con l’occhio esperto di un bravo fotografo). Perfino, fuori dalla California (osiamo, osiamo).

Forse io desidero proprio questo, essere preso per mano e condotto a scoprire il mondo, un poco alla volta. Mi piace pensare che non ci sia un algoritmo automatico, ma qualcuno che seleziona ogni giorno un certo panorama, un certo ambiente, la foto di un particolare animale, una scogliera, due orsi bianchi, un angolo di New York, un parco canadese, il giorno di Halloween un campo di zucche, quasi magico con il sole basso sull’orizzonte (è accaduto), il pianeta Nettuno il giorno dell’anniversario della scoperta (è accaduto, mi pare fosse Nettuno, comunque un pianeta). Beh viste le correlazioni, se è un algoritmo che sceglie le immagini, è stato programmato bene avendo cura di vedere cosa significano i singoli giorni (bella questa frase, mi pare che dica qualcosa di più rispetto alla descrizione di un software).

Confesso, questo è un desiderio molto profondo, può voler dire tante cose, e probabilmente tutte che trascendono la portata di un semplice servizio che ti cambia l’immagine di background su di un dispositivo (o su molti).

Ovvio, non basta uno sfondo che cambia quotidianamente, per recuperare un significato dei singoli giorni. Un colore, un sapore, un profumo di un giornata, diversa da tutte, speciale. Ci vuole ben altro, siamo d’accordo. Però se uno è già in ricerca, mi sento di dirlo, anche questo un poco aiuta.

Loading

Sbagliando… divertendosi!

Si possono imparare molte cose anche dagli sbagli: questa è una regola di vita praticamente assodata, e non serve certo ribadirla in questa sede. Però ha una declinazione interessante anche nel web: così, in maniera simile a quanto abbiamo fatto per i siti di Ubuntu, Apple e Microsoft, vediamo un pochino cosa succede quando digitiamo l’indirizzo di uno dei famosi motori di ricerca, appendendo volutamente alla URL una stringa di nessun significato (ovvero cercando nel dato dominio una pagina chiaramente inesistente). Il server ci deve rispondere che quella pagina, naturalmente, non c’è. Abbiamo fatto una richiesta sbagliata. Ma come gestisce il nostro sbaglio? Questa è la parte interessante, secondo me.
Un esperimento facile facile…
Allora proviamo con Google, inevitabile prima opzione. Ecco cosa accade:

Un robottino triste e spezzettato (o meglio, triste perché spezzettato, con ogni probabilità) ci accoglie informandoci che la pagina che cercavamo non esiste sul server. Non manca neanche il dettaglio tecnico: è un errore “404”, pagina non trovata. Ad ogni buon conto, conclude con “è tutto quello che sappiamo”. Come a dire, ci spiace, ma la questione è chiusa.

Andiamo ora su Bing, il motore di ricerca Microsoft. Cerchiamo una pagina inesistente e vediamo cosa accade:

Ci accoglie giustamente in italiano, intanto. In maniera sobria ci dice che la pagina non esiste, e si mostra volenteroso per aiutarci a uscire dall’errore in cui, evidentemente, ci siamo incastrati. I suggerimenti sono un pò generici, ma non si può chiedere di più, perché il povero Bing non ha idea, in realtà, di come mai siamo finiti a chiamare una pagina che non c’è.

Cosa fa invece il “vecchio” padrone della rete, i re del web1.0, ovvero il celebre Yahoo! ?

Ecco qui cosa ci presenta:

Stavolta in inglese – ma similmente a Bing – si prodiga in un paio di generici suggerimenti, dopo essersi scusato perchè la pagina cercata non esiste (colpa nostra, a dire il vero, non certo sua). Forse un pochino asettico, come del resto Bing.
Conclusioni
Che dire… sarò di parte, ma la pagina più simpatica secondo me, è proprio quella di Google, che non cerca di aiutarti in maniera generica. Anzi ammette la failure (mia, sua, non è specificato, e forse non conta) con quel robottino simpatico ma triste (tuttavia, il fatto che brandisca una chiave inglese nell’arto meccanico fa pensare che le speranze per una ricomposizione armonica siano tutt’altro che esaurite), e poi conclude laconicamente con “è tutto quello che sappiamo”, da cui però traspare un intento ancora giocoso, a mio avviso.
Di converso, le pagine di Bing e Yahoo! mi fanno pensare ad un ambiente tipicamente da “ufficio” piuttosto serioso e non molto esaltante (mi perdonino quelli che hanno esperienza di uffici frizzanti, non vorrei generalizzare). Informativo sì, ma non troppo, collaborativo certo, ma non troppo; comunque con poco tempo e spazio per scherzare su una richiesta sbagliata. 
Tendenzialmente vengo attratto dalle cose giocose, così la mia simpatia va a Google, senza tentennamenti. Dopotutto, se ho usato per anni linux anche quando era (diciamolo) veramente un’impresa  avere un ambiente desktop veramente operativo e competitivo con altri sistemi, è stato quasi esclusivamente per il senso di avventura e di giocosità insito nel movimento culturale open source
Difatti, se ti diverti, se si desta il senso di scoperta, superi un sacco di ostacoli con una facilità incredibile.
Ora me ne rendo conto: ci voleva un errore, per scoprirlo.

Loading

Non si copia. Quasi mai.

Atmosfera densa, tesissima. Compito di matematica, quello decisivo del quadrimestre.
Silenzio da tagliare col coltello. Il professore che passeggia avanti e indietro per la classe. Quel passo odiosamente lento, misurato. Ti passa vicino e indugia un attimo. Come un segnale. Come per dire attento che se fai qualcosa di sbagliato ti becco subito. 

Il problema è questo. I due solidi iscritti uno dentro l’altro, Roberta non li capisce proprio. Ha fatto i disegni venti volte, e non viene proprio nulla. Appallottolato dieci fogli. Le equazioni non si mettono giù bene; vengono numeri astrusissimi. E se il disegno fosse sbagliato? Allora i segmenti AB e BC non sono quelli, forse la figura si semplifica. 
Sudore freddo lungo la schiena, un fastidio diffuso. Non si può toppare, stavolta. Se prendo un’insufficienza mamma e papà mi fanno saltare le vacanze con gli amici di quest’estate, me lo hanno detto mille volte. Se appena appena finisco ‘sto liceo, la matematica la mollo. Aveva ragione Venditti, “la matematica non sarà mai il mio mestiere”. A parte il fatto del pianoforte sulla spalla. Mai capita questa metafora. 

Roberta inizia a divagare con la testa. Il problema è intanto divenuto uno scoglio insormontabile. Buio completo. 

Onde spigolose di invidia per sorella si propagano nella mente. Lei non ha più questi problemi. Giada appena esco mi iscrivo anch’io a lettere, o filosofia o letterologia orientale o lingue astruse e antichissime, qualcosa che sia garantito esente da matematica. Hai presente quei cibi che dicono “Niente OGM”? Voglio un corso con un bollino garantito “niente matematica”. Oppure quei film dove dicono non è stato maltrattato alcun animale. Ecco voglio una facoltà dove ci sia scritto “Si assicura l’utenza che durante la definizione dei programmi dei corsi di laurea non è stata risolta alcuna equazione.” E’ quella che fa per me.
“Psss.. Roberta.. hai fatto…?”
E’ Gianni, davanti a destra. Tipo studioso, posizione relativa interessante. Interazione possibile.
“Gianni… Gianni ti prego, il problema. Passami la figura, dàaaai”, squittisce Roberta in due decibel appena.
“Non posso mi becca”, dice Gianni a mezza voce. Impietoso.
“Dàaaai ti prego. Non ti vede” implora Roberta.
Il professore è entrato in stand by e guarda fisso fuori dalla finestra.
O adesso o niente. Il fatto che è pure carina, cavolo.
“Ecco sbrigati”
Il foglio sta passando di mano. Un nanosecondo. Sufficiente per far accedere l’irreparabile.
“De Simoni lo dai a me quel foglio, perfavore?” tuona la voce del professore.

La temperatura dell’aula piomba a -40. Tutti guardano, con il fiato sospeso. Ogni cosa è gelata. Sembra di stare su Marte.

Incredibile, non era a guardare fisso fuori, un attimo fa? Ma come ha fatto?
“Ecco professore, ma non è mica niente..”
“No, no, figuriamoci. De Simoni poi ne riparliamo, non finisce qui.”
“Ma professore…” Gianni intona in andamento mellifluo cantilenante, senza peraltro saper come continuare. Roberta si aqquatta  sul banco, tutta rossa. Disastro totale. Dalla faccia del professore si direbbe che stia per partire. Infatti parte.
“Quante volte vi ho detto, non si copia! Mai!
Però linux si può copiare, me l’ha detto Giada che glielo ha detto Stefano pensa Roberta. La cosa però non le sembra una obiezione valida da presentare al professore.
“Che facciamo, magari i compiti a casa li copiate da Google, se continua così”
“Beh c’è chi forse già l’ha fatto, professore”. La classe si gira di scatto. La voce di Lorenzo, in fondo vicino alla finestra. Brandisce un foglio stampato.

Il professore resta sorpreso più della classe. Proprio Lorenzo, quello timido che non parla mai. “Ha presente Bing? L’hanno beccato anche lui a copiare da Google!“, si lancia Lorenzo con insolita enfasi.

Il professore guarda con l’aria perplessa. Sembra in stallo. Roberta non capisce cosa sta avvenendo. Nell’attimo di silenzio sospeso, fa in tempo a pensare una sequenza lapidaria di sei parole, Speriamo solo che me la cavo.

Loading