Perché, che hai da commentare?

Ritornando su Blogger dopo avventure varie, da WordPress a Medium, è anche ritornare ad una casa semplice, affidabile, magari spartana in certe parti, comunque – mi rendo conto – adatta a questo tipo di blog, a questo piccolo notebook che trattiene impressioni e frammenti d’uso relativi alla tecnologia (e a come si sporca di umanità, in maniera per me sorprendente e rallegrante). 
Blogger è semplice, pulito, non devo aggiornare nulla, non devo mettere plugin o editare il codice, mettermi a norma per i cookie o cose simili. Per certe cose è veramente troppo semplice. Per altre è perfettamente la semplicità che si cerca: per questo modesto progetto, è proprio quella semplicità che serve. Scrivere, e basta. Lasciare ogni particolare tecnico (o almeno la maggior parte) dietro le spalle. Ci pensi pure Google. 
Tornare qui, è anche, però, avviare una fase in cui cercare di comprendere come rendere facile ed efficace l’interazione e lo scambio di idee. I commenti, nel gergo classico dei blog. Che fare? Se entrando su Medium era drasticamente semplice – se muovi un blog su Medium i commenti li perdi del tutto, non esiste che te li porti dietro – qui che c’è un po’ più di flessibilità, può sorgere la questione se appoggiarsi al sistema nativo di Blogger (un po’ elementare per dire la verità, però appunto nativo), oppure ricorrere ad un sistema esterno, come Disqus.
Ora, c’è di buono che – grazie al fatto che mi sono appoggiato a Disqus nel passato – ora i commenti che sono passati attraverso le varie fasi di hosting, su diverse piattaforme, si sono più o meno conservati (e man mano che riprendo i post da Medium dovrebbero ricomparire, bel belli). Per questo in questo momento sto continuando ad usare Disqus, essenzialmente.
E’ pur vero, come mi è stato giustamente fatto notare, che usare un sistema esterno aggiunge un layer di complessità in più, forse non del tutto giustificato a fronte dei vantaggi. Forse, anche, una cosa non idonea del tutto, proprio laddove si voglia invece ritornare ad una semplicità più possibile evidente e fruibile. 
Da un giro in rete, pullulano le argomentazioni pro e contro Disqus, rispetto ai sistemi nativi, e ovviamente anche a Facebook (come è logico, in rete pullula qualsiasi cosa). 
In generale, appoggiarsi ad un sistema esterno ha dei vantaggi (se distruggi il blog i commenti  restano) ma apre anche delle problematiche (ulteriore autenticazione, ulteriore raccolta dati). E’ anche se vogliamo qualcosa di più filosofico e concettuale, perché in fondo è la scelta tra un sistema che comprende tutto in un unico posto o un sistema che compone tutto in un unico posto (questa mi piace, non so se è una gran pensata, ma mi piace).
Come la mettiamo? 
Perché, che avete da commentare? 
E soprattutto, come volete commentare? 

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Blogger, reloaded?

In effetti questa è una delle piattaforme di blogging più antiche. Anzi, è stata la piattaforma da cui tutto è partito. Il fenomeno blog, messo un po’ in sordina dall’esplosione dei social, sembra parte di un web antico, eppure ancora c’è. Blogger – risalente al secolo scorso, addirittura – è stata come sappiamo comprata da Google, ed è attiva tuttora. E dopo varie opzioni, diverse prove, diverse scelte, sto ricominciando ad apprezzarla. In confronto al tasso di innovazione e alla velocità di variazione di tanti ambienti come WordPress, Medium, etc – diciamolo subito  – è una specie di dinosauro, di bradipo, insomma in movimento lento.
Lentissimo.
Blogger ha questo, di suo. Può far passare anni, senza che venga introdotta alcuna modifica. Interi anni (un anno, per un progetto Internet, equivale a mille secoli nel mondo reale). Tanto che ti chiedi se sia rimasto acceso solo per caso, magari qualcuno in Google si è dimenticato di spegnere l’interruttore. Tipo, non so, chi lo chiude Blogger stasera? Ok, faccio io. Ricordati però prima che vai via, eh. 

Blogger è una faccenda per cui, nel suo blog (sì esiste un blog dedicato), può passare tranquillamente più di un anno da un post al successivo. Per esempio, il penultimo post è di marzo 2017, e l’ultimo è di maggio del 2018. Insomma con tempi dilatati tanto che pensi, beh, ma c’è ancora qualcuno lì? 


Però nella sua lentezza, nella sua impermeabilità a ogni meccanismo social, ha i suoi pregi.

Per essere uno strumento gratuito, ne ha diversi. Per esempio, un controllo completo sul tema. L’editor dei temi arriva a livello delle linee di codice, permettendo di effettuare online delle modifiche il cui unico limite è la conoscenza del codice HTML e dei CSS di chi vi si trova in mezzo. WordPress, nella sua versione dot com, non permette che minime modifiche.

Ha poi una sua essenzialità, che trovo molto adeguata per siti personali o comunque di pretese relativamente modeste. 
Blogger permette anche di associare un nome a domino senza pagare nulla, come del resto fa Tumblr (e basta, credo). Certo, i temi di WordPress sembrano più carini, nella media, ma si può sopravvivere lo stesso. 
Si potrebbe continuare con elenco di pregi e difetti, ovviamente.  Certo che alla fine è tutta questione di gusto, è una questione più emotiva che razionale. Così nell’espressione in rete la parte del cuore gioca un ruolo fondamentale, ora e sempre, anche quando si vorrebbe fare rotta verso una asetticità e un pragmatismo più elevato. 
Meno male che non è così, meno male che anche qui possiamo sempre ripartire dalle emozioni, forse la parte che più di ogni altra attende di essere trasmessa in rete, per creare risonanze ampie e virtuose, fuori dalla litigiosità coatta di tanti social. Ci vuole una presa d’aria, un momento di tranquillità. 
Dove pesare le parole, levigarle, assestarle. Assecondarle. 

E fare spazio all’idea di… riprendersi questo spazio. 
Dopo vari tentativi, diversi esperimenti, WordPress, VPS, Medium…. 
Lentamente, pacatamente. 
Forse, ritornare. 

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C’è qualcuno, qui fuori?

Non so. Sei perplesso. Devo dirlo, mi pari proprio perplesso. Hai come la sensazione — adesso — di vivere in un posto abbandonato. Ti chiedi anche, sarò io? Sarà un effetto di prospettiva, magari?
Forse. Anzi, se così fosse, smentitelo. Commentate, indirizzate, fatelo comprendere. Magari sbaglio, ma la tua sensazione è questa. Dopo un periodo di grande effervescenza, nella comunità italian speaking, ti sembra che da tempo vi sia una quiete quasi totale.

Non vedi post di italiani apparire nella tua pagina Medium, salvo pochissime eccezioni. Guardi i profili dei follower della tua pubblicazione, e sembrano profili congelati, intirizziti, quasi istantanee di un mondo che intanto è scomparso. E dire che hai traghettato SegnaleRumore (dopo una permanenza in Blogger e WordPress self-hosted) qui proprio perché il senso di comunità vispo e frizzante ti attirava, ti invitava come a prendere parte ad una festa, ad una cosa nuova e bella che si stava realizzando. Sperando di non rimanere deluso, hai preso casa in questi lidi.
Ed è stato bello, per un po’. Molto bello. Però un senso di delusione ora è arrivato, davvero. Pian piano, il panorama è cambiato, si è progressivamente modificato. Insomma, sono accadute delle cose.
E’ stata spenta la pubblicazione ufficiale in italiano, che era un bellissimo tentativo di fare gruppo, centrato sugli interessi e le specifiche sensibilità di un paese non anglofono ma squisitamente mediterraneo.
E’ stato introdotto il modello a pagamento. E va bene, può essere una buona cosa, poi non si vive d’aria, è noto. Ma senza offrire praticamente niente che potesse essere davvero di valore, per una persona che non usa l’inglese come suo primo linguaggio. Ancora oggi, nessuna attenzione al nostro paese (nemmeno la localizzazione dell’interfaccia, per dire).
Hanno tolto (e non ho ancora capito come mai) la possibilità di richiedere un determinato articolo per l’inclusione in una pubblicazione. Questa era una bellissima peculiarità di Medium, la mia preferita, che rendeva la sua architettura veramente originale. Che ha arricchito anche questa piccola pubblicazione, in maniera non trascurabile.
Insomma, ad un certo momento ti giri, e scopri che i motivi che ti hanno portato in un posto, in una relazione (perché era anche una relazione d’amore, fino ad un certo punto) in una decisione di permanenza, non ci sono più.
Ed intanto, gli italiani piano piano sono spariti. Oppure sei tu che non li vedi più. Insomma qualcosa è successo. E dunque ti chiedi, ma c’è qualcuno lì fuori?



Così cominci a chiederti se, come hai migrato il blog AltraScienza che un tempo era qui su Medium, dovresti condurre altrove anche gli altri tuoi canali espressivi, come questo blog, o il tuo blog personale.

Così, per ora ci pensi. Certo migrare un’altra volta è un bel lavoro (toccherà capire come fare, all’atto pratico). Poi, dove? Su WordPress (punto com oppure punto org, a seconda), o magari sull’antico ma robusto Blogger, che a dispetto del fatto che sembra sempre sulla soglia dell’ibernazione, sta incredibilmente mostrando qualche traccia di attività recente, a livello di sviluppo (sissignori, è possibile parlare tecnicamente di sviluppo anche per Blogger) ?

Va beh, non lo sai ancora. Inizi a pensarci, comunque. E intanto speri che Medium ti sorprenda, in qualche modo.

Ci speri, ma non riesci a crederci troppo.

Pubblicato originariamente su piattaforma Medium

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Saluti anche a Posterous

Ci sono casi in cui dispiace un po’ di aver ragione, e questo è uno. Cioè, non che abbia detto cose straordinariamente acute. Più che altro sono cose che sono sotto gli occhi di tutti. Ma magari qualcuno che abbia un angolo temporale di osservazione più ristretto, forse non se ne accorge così chiaramente.
Come dicevamo nell’ultimo post, la varietà delle piattaforme in Internet è in decisa contrazione. Una manciatina di servizi “maggiori” (grosso modo, Facebook, Twitter, WordPress, Google+) la fa da padrone, cresce e si radicalizza, anche e soprattutto a spese di una moltitudine di servizi medi e piccoli che vanno invariabilmente verso la chiusura, uno dopo l’altro. E’ da dire ancora una volta che molti di queste piattaforme incarnano modi assai interessanti di ‘vedere le cose’, alternative al solito paradigma, che appaiono intriganti sotto molti punti di vista. Possibilità differenti che vanno a scomparire, con decisa perdita di complessità. Una omologazione in piena regola, nemmeno tanto strisciante.
Tra poco dovremo salutare anche questo servizio…
Ecco che un altro servizio molto interessante va a chiudere. Posterous ha appena annunciato che il 30 aprile chiuderà i battenti. Posterous è stata per diversi anni una piattaforma blog molto interessante, con diversi punti di forza al suo attivo. Il primo e fondamentale è stata la grande semplicità. Era davvero questione di un attimo aprire un blog (il tema predefinito è deliziosamente minimalista) e iniziare a pubblicare i propri pensieri. Stabilire una propria presenza su Internet era davvero immediato. Si poteva fare tutto per posta elettronica, senza preoccuparsi di null’altro che scrivere. 
Con il tempo si sono aggiunte altre possibilità, come la possibilità davvero attraente di inviare foto in attachment via email, che venivano automaticamente organizzate in un pratico album. In ogni caso, mi sento di dire che la caratteristica semplicità è rimasta largamente immutata. 
Se non che ad un certo punto Twitter si comprò Posterous. Nel mondo di Internet quando si viene assorbiti da un gigante di solito non finisce bene (vedi il caso di Jaiku con Google, tanto per fare un esempio) Per un po’ tutto andò come al solito, ma ora ecco che arriva – facilmente prevedibile – la doccia fredda. Il team, per “decidere di concentrare lo sforso su Twitter” (si dice sempre così, ma ce ne è davvero bisogno?) chiude il servizio. 
Un’altra contrazione della varietà, un altro collasso gravitazionale verso i poli dominanti. Peccato.

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In arrivo Scribfire per Chrome

Con piacere noto che è finalmente in arrivo la versione di Scribfire per il browser Chrome (è appena stata rilasciata la alpha). Scribfire è secondo me uno degli add-on più interessanti per chi voglia inviare messaggi sui propri blog, usando semplicemente il proprio browser. Personalmente lo sto usando da molto tempo attraverso Firefox: ad esempio, da diverso tempo tutti i miei post su GruppoLocale.it vengono redatti con tale eccellente software. 

Delle eccellenti doti di snellezza e velocità di Chrome (e naturalmente di Chromium, il suo corrispettivo Open Source) abbiamo già parlato diverse volte in questa sede. Il divario tra le estensioni di Firefox e quelle disponibili per Chrome è certamente ancora elevato e a vantaggio della Volpe di Fuoco, ma ho la sensazione che le cose stiano rapidamente cambiando. Chi scrive, dopo anni e anni di Firefox, da un pò ha mutato le sue abitudini e eletto Chrome come browser predefinito, sia su Ubuntu che su Mac OS (i suoi due ambienti preferiti). Firefox, bisogna dirlo, è super accessoriato, ha moltissimi altri meriti, ma è sensibilmente più pesante. 

 

Questo post è il primo che scrivo con la versione alpha di Scribfire per Chrome. Mi sembra giusto (ed anche… squisitamente ricorsivo) che venga dedicato proprio a Scribifire. Software che, su Firefox o Chrome, vi inviterei a provare (certo per Chrome ricordatevi che è appunto ancora in fase alpha, ovvero molto preliminare), se siete affezionati alla scrittura su blog, sistematica o occasionale che possa essere… 

Ora, se leggete il post, vuol dire che comunque sta funzionando.. 😉

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