(La prima parte del racconto la trovate a questo link).
“Dunque quello che devi sapere non è molto…”, Iniziò Stefano con la sua aria più saccente, quella che così facilmente le dava sui nervi. Giada avvertì un brivido lungo la schiena, la sensazione di stare scivolando lungo un copione già preparato. La sensazione era che le sue obiezioni, lungi dall’aver smosso le acque, fossero già stata accuratamente prevista, già messe in debito conto. Si sentì piombare addosso un senso spiacevolissimo di inesorabilità.
Rimaneva un tentativo da fare, probabilmente inutile. Sicuramente, inutile. Però, insomma, andava fatto.
“Beh Stefano, a pensarci bene, sai…”, Giada inghiottì un pò di saliva, “non mi serve che mi spieghi anche questa cosa nuova qui, questo… lettore”. Disse appunto “lettore” con tutta la distanza che riusciva a mettere in una sola parole, con tutta l’alterità possibile che lei, da donna, riusciva a mostrare per qualcosa che non la coinvolgeva. Tanto per dire: io e lui non abbiamo niente in comune, non abbiamo intersezioni, interazioni, siamo su due mondi diversi, lontani, mutuamente indifferenti, se non antagonisti, opposti. Perlopiù ci ignoriamo completamente; anzi, io mi vanto di ignorarlo, il lettore e tutto il suo mondo. Per me ci sono i libri, i cari, vecchi, semplici, comprensibili, amati libri di carta.
Stefano si bloccò un attimo a guardarla, a tentare di comprendere il livello di serietà dell’obiezione.
“Sì, naturalmente” disse con intonazione piatta, come uno che, facendo esperienza di una volontà estranea e conflittuale alla sua, è pur costretto a prenderne atto.
Per un momento dunque Giada ebbe l’impressione di aver stravinto. Partita giocata in casa, finita con un bottino pieno.
“Naturalmente, non entrerò nei dettagli che non ti interessano”, concluse Stefano come per manifestare compiutamente il suo pensiero.
“No, eh?” mugolò Giada. Mamma, ma che era successo? L’arbitro aveva fischiato, annullato il gol. La partita riprendeva, la squadra ora giocava in difesa, arretrava. Di più: subiva, era sbandata. Accusava il pressing, improvvisamente. I tifosi pure, fischiavano. Difatti a Giada fischiavano le orecchie.
“No, tranquilla.” Sorrise Stefano come sorride il dentista, mentre prepara i suoi strumenti di tortura.
“Certo, va detto per incominciare che…”
“Per in-co-min-cia-re ?” gemette Giada. “Abbiamo poco tempo, lo sai”
Stefano la guardò con un’espressione di compatimento. A Giada venne da chiedersi se anche alla ragazza di Stefano toccassero tutte queste tediose spiegazioni per qualsiasi cosa, oppure impiegassero il tempo in maniera più interessante.
“Dunque prima di tutto va detto che questo non è un computer, o un tablet”
“Ah. Non è come l’iPad insomma?”, chiese Giada nel mentre che si riprendeva, respirando fondo.
Stefano la guardò corrucciato, con espressione di bonario rimprovero.
“Allora, un tablet, tanto per essere chiari, non deve essere per forza un iPad. Solo perché siamo abituati a farci infinocchiare da tutto quello che ha il marchio con la mela, che tra l’altro paghi di più che…”
“Ok ok, chiarissimo, dicevo per dire”, si affrettò a specificare Giada, annotando mentalmente un primo errore. Mai menzionare i prodotti Apple a Stefano; sembrava che ci avesse litigato. O che gli avessero fatto qualcosa, non si capisce bene (ma non le andava punto per niente di chiedere maggiori dettagli).
“Ebbene” proseguì Stefano, fattosi più tranquillo, avendo fatto repentinamente sparire l’iPad dalla conversazione, “la prima cosa da considerare è il display. Questo qui sfrutta una sorta di inchiostro elettronico, tutt’altra cosa rispetto ad uno schermo luminoso.”
“Tutt’altro, eh?” Giada odiava infilarsi in queste conversazioni in cui non poteva che rivestire il ruolo analogo a quello di un Simplicio nei dotti discorsi dei filosofi. Eppure non vedeva altre possibilità.
“Ma certo! Guardalo bene, questo non è retroilluminato, non stanca la vista. E’ molto definito, ha ben sedici livelli di grigio. E poi consuma pochissimo. In realtà, consuma solo quando giri pagina.”
“Non è illuminato? E’ vero non fa mica luce.”, disse Giada accostandosi di più a Stefano. “Al buio non si vede allora?”
“Perché i libri tu li leggi al buio di solito?”
Ora che c’entra, pensò Giada. I libri no, non li posso certo leggere al buio. Ma questa cosa elettronica non è un libro. Un libro, cavoli, si fa capire. Questa è una cosa elettronica, con dei tasti, delle opzioni da decidere, delle cose da sapere. Devi essere malato di tecnologia, probabilmente devi essere nato con un… insomma, devi essere un maschio. Un libro è un amico, questa cosa qui ispira diffidenza, mi è abbastanza ostile. Lui lo sa bene, che io non ci capisco di cose tecniche; non sopporta che io non perda tempo per capirlo, e allora mi è ostile. Con tutti i suoi transistor e i suoi astrusi circuitini, mi manifesta ostilità. Ha tutti questi circuiti che sprizzano odio verso di me. E’ chiarissimo.
“Perché devi abituarti a pensare questo aggeggio esattamente come un libro…”, chiosò Stefano con aria dotta.
Ecco, appunto.
“Come un libro?”
“No, anzi no. Come tantissimi libri. Tutti qui dentro”
Così dicendo si allontanò di qualche centimetro, distolse un momento lo sguardo. Non lo voleva ammettere, ma il profumo di Giada lo distraeva. Di botto, perdeva il filo delle cose che voleva dire. Di colpo sembrava tutto meno importante, ogni linea di pensiero indebolita, fiaccata da una misteriosa sensazione, come di affondare in una morbidezza ipnotica, appiccicosa.
“Ma non è meglio un libro vero, che giri le pagine, lo tocchi, senti la consistenza della carta…”
Meno male, Giada non sembrava essersi accorta di nulla. Stefano respirò a fondo. Ora tornava a vedere più chiaro.
“Come vanno i tuoi muscoli, Giada?”, le chiese di rimando.
“Eh?” Ma che è impazzito? Cosa c’entrano ora i miei muscoli?
“Sì dico, ce la fai a portarti a braccio 47 volumi?”
“Quarantasette? Non direi, non penso proprio”
“No chiedevo, perché qui dentro ora ce ne sono quarantasette…”, gongolò Stefano.
“Ok, lasciamo stare la faccenda della consistenza della carta. D’accordo”. Secondo goal subito. Squadra sul tracollo, rischio retrocessione. Tifosi imbufaliti sugli spalti. L’arbitro fischia. Le orecchie fischiano sempre di più. Ragazzi, qui si finisce in B e nemmeno ce ne siamo accorti.
Ma ecco, improvvisamente un passaggio esaltante. Giada aveva l’idea giusta, eccola! Basta lanciarla, ora. Palla spedita oltre la metà campo. Stefano subisce un contropiede, Giada può tirare in porta!
“Perfetto! Quarantasette libri.. Così se ti si rompe il coso, il lettore, oppure te lo rubano.. Ti perdi una biblioteca intera. Bravo, bravissimo. Ma che bella la tua tecnologia!” Giada gongolava, immaginando il trionfo. Solo questione di secondi: giocatori contenti della rimonta, pubblico in visibilio, commentatori increduli.
Nel quadretto, soltanto stonava la strana tranquillità di Stefano. Sarà tattica da due soldi? Giada non ne era convinta.
Difatti, ecco che arrivava lesto il contropiede.
“Non mi perdo un fico secco. Ogni libro è presente anche sul mio computer, dove mantengo un database centralizzato di tutto il materiale. Sai, gestisco la mia libreria sul mio desktop linux con Calibre, un software open source, e mantengo sempre più copie di ogni libro, spesso in diversi formati. Per maggior sicurezza ogni notte alle quattro Back in Time si preoccupa di fare il backup incrementale dei miei dati su un disco separato. Documenti, musica… libri inclusi, ovviamente.”
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Una schermata di Calibre.. dal PC di Stefano 😉 |
Il tracollo è completo. Goal annullato, delusione cocente, squadra di nuovo allo sbaraglio. I tifosi abbandonano gli spalti per protesta. Altri, preda della delusione, innalzano striscioni con scritte irriferibili. Giada, disorientata, riparava in una sterile difesa d’ufficio.
“Va beh, ma la consistenza della carta…”
“Sì, certo. Ora, la cosa interessante è che tu puoi non solo leggere, ma anche annotare i tuoi libri. Se vuoi, puoi anche inviare le tue annotazioni su una pagina web apposita, così puoi far sapere a chi ti segue – chessò, sui microblog o sui social network – cosa stai leggendo e soprattutto cosa ne pensi. Io lo trovo molto comodo e divertente.”
“Cioè insomma, se leggo un libro devo scocciare tutti con le mie impressioni…”
“Non è che DEVI. E’ che, se ti va, lo puoi fare” puntualizzò Stefano.
“Ma come ce lo metti un libro, qui dentro?” chiese Giada che – avendo ormai ritirato i giocatori – veniva in pratica a congratularsi con il vincitore.
“Ah non è difficile. Puoi metterlo dai tuo computer, con il cavetto usb, oppure con il bluetooth. Trovi un sacco di libri a basso prezzo, o anche gratis, in diversi siti.”
“Ok, e se voglio un libro mentre sto in vacanza? Non ho il computer? Con i libri veri, vado in una libreria e mi scelgo qualcosa…”
“Qui non serve nemmeno. Dal lettore ti puoi collegare al negozio di libri, scegli quello che ti piace e te lo scarichi”
“Come mi collego scusa?”
“Allora, qui dentro c’è la connessione 3G incorporata. Ti permettono di navigare gratis su internet, ma ovviamente solo sul sito del loro negozio…”
“Curioso eh”, ammiccò Giada
Stefano non raccolse. Si chiese perché oggi fosse così sensibile alla sua vicinanza. Giada ora gli fa una tenerezza dolce, gli vien quasi voglia di stringerla, magari carezzarle piano i capelli. Forse dovrebbe tirar fuori una scusa e andar via. Però non sa come districarsi, dopotutto le ha promesso il suo aiuto.
“Comunque non paghi la connessione”, le disse, tentando di restringere i suoi pensieri ad un ambito squisitamente tecnologico.
“Però i libri li paghi” puntualizza lei.
“Certo, mica stanno lì per beneficenza, no?”
“No, era per capire…” fece Giada un pò seccata. Inspiegabilmente Stefano si era un pò spostato da lei, non riusciva più a sbirciare lo schermo del lettore. Che gli faccio paura? Ma mica glielo rovino il suo bel libro elettronico, insomma…
“Va beh, ma non è meglio che cominciamo? Sennò poi non si fa in tempo a finire…”, disse Stefano sempre nel suo modo focalizzato.
“Cominciamo? Ahh sì sì.” Giada si era quasi dimenticata. E’ che stava bene a parlare così, ora. A battaglia finita, si sentiva rilassata. Non aveva più niente da perdere, ormai era acclarato, sotto il profilo tecnico era una schiappa. Poteva smettere di nascondersi. E si era dimenticata il motivo per cui Stefano era venuto da lei.
Di fatto, stavolta dovette forzarsi un pò.
“Sì, hai ragione. Cominciamo. Vediamoceli, questi libri che avresti portato, va…”