I sacchi della posta (e la delocalizzazione)

C’è una bella canzone del Battisti “secondo periodo” (quello della collaborazione con Panella) che si intitola proprio  “I sacchi della posta”. Il riferimento immediato, seppure piuttosto complesso ed intrecciato poi in diversi temi com’è tipico del geniale paroliere Pasquale Panella, è alla posta fisica. Tanto tempo è passato da quando quella era la unica posta possibile. L’avvento della posta elettronica ha cambiato radicalmente le carte in tavola. Più che mai.

Mi tornano i ricordi.

Come molti, anche io ho vissuto vari stadi. C’è stata l’epoca di Outlook Express, client di posta – allora – praticamente incontrastato. Vi ricordate? Era il modo di consultare la posta. Quello, e basta.

Mailbox 378092 640

Ci sono stati – e ci sono – i vari client per linux o per mac. Ne ho usati tanti in diversi periodi, con alterna soddisfazione.

Carrellata avanti, torniamo al presente.

Ora, Mail di Apple per esempio è un programma molto ben fatto. Come molti programmi per Mac, sembra semplice fino a che non scavi abbastanza e trovi una pletora di opzioni veramente interessanti. Dovessi limitarmi ad un client “classico”; direi che questo è ottimo.

Ci sono poi i sistemi di webmail. Partiti come una eccentricità, come un modo differente di fare le cose, si stanno rapidamente imponendo come lo standard. Come se non ci fossero più vari modi per farlo, ma ce ne fosse uno solo. Aprire Gmail, o Yahoo! oppure Hotmail (se proprio necessario) e consultare la propria casella di posta. E’ la normalità, direbbe Fossati.

I vantaggi sono innegabili. Uno su tutti: accesso universale, da qualsiasi apparato. Computer di casa, di lavoro, tablet, smartphone, computer di un amico. Tutto. Sebbene la posta elettronica non si sia evoluta molto, non abbia scartato che in minima parte dalla sua iniziale formulazione, sebbene esperienze di rivoluzione radicale abbiano finora fallito, è il modo di usarla che è cambiato.  

Ma è ovvio.

Prima aveva senso pensare di tenere la posta su un unico computer. Ora l’accesso a dispositivi perennemente in rete si è espanso e delocalizzato in maniera così estrema che sarebbe impensabile, per moltissimi, avere la posta su un unico computer. E’ sempre più richiesto di poter accedere ai propri messaggi da virtualmente ovunque, e trovare sempre uno stato consistente. 

In fin dei conti si può vedere un webmail come una logica derivazione del protocollo IMAP. Con in più una intrinseca semplicità. E una facile comprensibilità – visto che siamo abituati alla navigazione con il browser. Se chiedo ai miei figli quale client di posta elettronica usano, probabilmente non capirebbero. Quale client? Si va su Chrome e si apre Gmail, o Yahoo!. Tutto qui.

Come sono lontani i tempi in cui si costruivano pazientemente sul disco locale gli archivi di tutti i messaggi letti e spediti, magari divisi per mese ed anno. Si archiviavano, si sistemavano. Per poi perdere tutto – tipicamente – nel cambio di computer o nella rottura del disco rigido. 

Ora mi sento più sicuro nel tenere i miei 62.000+ messaggi di posta sui server di Google che nemmeno a tenerli a casa mia (spero di non essere smentito domani). Sarebbe carino sapere su quali server sono spalmati, in che remota computer farm c’è – ad esempio – tutto quel dialogo con mia moglie, o con quel collega, oppure… ehm. Ma in fin dei conti non importa. E forse non lo sa nessuno. Forse è una domanda che non ha senso, non ha più senso. Sono in Internet. Un luogo non-luogo, un luogo che è dovunque ma da nessuna parte.

Altro che sacchi della posta. Quelli che avevano (hanno) un’ora di raccolta, che sai dove sono. Più o meno.

Ma – mi accorgo adesso – è la stessa geografia che viene man mano riformulata. Il concetto di luogo esiste ancora, ma è stato rimappato. Ora è un indirizzo web, è una URL. 

Così paradossalmente, la webmail, che dovrebbe essere quella più delocalizzata, è invece colei che meglio incorpora la nuova nozione geografica. Eh sì, perché nella mia casella Gmail ogni conversazione è individuabile univocamente: ogni conversazione ha un suo specifico URL. E questo è veramente comodo. Puoi ritrovare vecchi messaggi basta che ti appunti la URL relativa.

Di recente ho ripescato, proprio in questo modo, un vecchio messaggio di A.F., amico e collega, di cui mi ero appuntato la URL

ciao marco,

 

sono atterrato adesso ad amsterdam e ho appena finito il tuo libro..

 davvero bello!

 

mò devo prendere una coincidenza quando torno commento a voce..

Ecco, è bastato appuntarmi l’indirizzo  https://mail.google.com/mail/ca/u/0/#inbox/13f0e3ec2c6783f9 per poter tornare in ogni momento alla conversazione (non vi affrettate a copiarlo e incollarlo perché funziona solo dopo la corretta autenticazione). 

Ecco la vera nozione di posto. Di luogo. Nuova, ma antichissima. Dopotutto, un luogo è un indirizzo.

Semplice, come è sempre stato.

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Posta su iOS: Mailbox premia le caselle vuote

Se avete seguito questo blog, l’avrete bello che capito: per me il protocollo di posta elettronica è vecchio. Possiamo dire la verità, di per sé sarebbe ampiamente superato: insomma, non è certo in linea con le tendenze più interattive e multimediali della era attuale di Internet. Tuttavia è comunque uno dei mezzi per scambiare testo e dati più diffusi, e tutto fa pensare che lo resterà per un bel pezzo. Alla fine, è semplice, ma funziona. Ed è tanto inossidabile che anche trovate assolutamente geniali come Google Wave si sono dovute arenare davanti a questa sorta di attrito, di resistenza al cambiamento. 
Tutto questo per dire che qualsiasi attrezzo tecnologico connesso ad Internet, deve prima di tutto mandare e ricevere posta in modo più comodo possibile, compatibilmente con le sue dimensioni e le sue caratteristiche. Così non stupisce che anche per dispositivi iOS (iPhone, iPad, iPod Touch) vi siano disponibili una serie abbastanza rilevante di applicazioni interessanti: vi voglio parlare della mia esperienza, senza nessuna pretesa di essere anche minimamente esaustivo.

Non è raro disporre di molte caselle di posta. Sempre piene, peraltro…

Prima fermata d’obbligo, il client di iOS integrato. Fa certo un ottimo lavoro: possibilità di connettere più account, parametri di connessione preimpostati per tutti i servizi più importanti di webmail (gmail, yahoo, etc…), ottima leggibilità dei messaggi, e via di questo passo. Una cosa molto utile è la possibilità di definire degli indirizzi VIP, da trattare in maniera diversa dagli altri: possiamo facilmente definire delle regole di notifica specifiche per questo gruppo di indirizzi “privilegiati”, ad esempio. Dunque potremo ritenerci già ampiamente soddisfatti dalle caratteristiche del programma di cui il nostro iPhone, o iPad/iPod,  è già dotato appena arriva nelle nostre mani..

E questo sicuramente potrebbe esaurire il discorso, almeno per molti.

Va da sé che i motivi perché io mi metta a provare un altro software saranno da cercare in alcune specificità che magari si trovano nel disegno specifico di quella applicazione, che certamente esulano dalle caratteristiche di progetto di un client email standard. 

Per farmi capire, prendo subito in esame una alternativa che mi pare – al momento – tra le più interessanti, ovvero quella di Mailbox. L’applicazione è disponibile per iPhone/iPad e per ora funziona soltanto per gli account gmail. Dal sito web dell’applicazione si può intuire la filosofia entro cui si muove il programma: “Modern tech for an ancient medium. Designed 30 years ago, traditional email transmission is clunky and slow.” Devono aver letto il nostro l’articolo, ovviamente 😉
Scherzi a parte, l’approccio alla gestione delle email in effetti è ingegnoso. In breve, permette – con un movimento rapido del dito – non solo di archiviare e/o cancellare i messaggi, ma anche (è qui la genialata) di postporli ad un momento più opportuno: vi sono varie alternative possibili, che vanno da poche ore ad un mese più tardi, o anche dopo. L’obiettivo esplicitamente dichiarato, è arrivare al fatidico traguardo di mailbox zero. E’ chiaramente un segno dei tempi – che viene debitamente riconosciuto dalla stessa progettazione di Mailbox – quello di essere sopraffatti dal numero di email che piovono quotidianamente nelle nostre caselle di posta. Pensateci: ora avere zero messaggi sembra un sollievo, quindici anni fa l’avremmo certamente vista in modo diverso.

Un’altra possibilità utile che offre Mailbox è quella di spostare facilmente il messaggio in una lista, dalla quale può essere facilmente consultato nel momento che pare più opportuno. Vi sono delle liste già impostate, ma si possono modificare, come pure aggiungerne altre. Una che io ho aggiunto subito è On Writing (titolo in omaggio ad un libro di Stephen King), per radunare tutte le email relative alla scrittura creativa. 

Come nota di colore, c’è anche un premio per chi arriva allo stato così agognato di Mailbox zero: una foto acquisita tra le più suggestive apparse in Instagram, immagine che cambia di giorno in giorno.

Simpatico, indubbiamente: fornisce una nota di giocosità al tutto, che non guasta.

E voi? C’è un client che vi piace tanto da aver abbandonato quello standard di Apple? Fatemi sapere, magari lo trattiamo in un post prossimo futuro…

To be continued…

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Una nuova email? A gradini però

Sì il protocollo di posta è decisamente vecchio. Consideriamo un attimo la grande evoluzione che ha avuto negli ultimi anni la comunicazione via web. Una espansione accelerata, una inflazione informatica (sulla stregua della più classica inflazione cosmologica) che deve essere ancora debitamente metabolizzata e compresa. Ecco, a fronte di tutto questo, siamo ancora legati ad una comunicazione email il cui standard è stato definito molti, ma molti anni fa.

19th Century emails
La posta elettronica rischia di diventare vecchia come quella… normale 🙂
Crediti: Francesco Adorisio su Flickr, licenza CC-BY-NC-ND 2.0)
Sì, anche i servizi webmail che appaiono al momento come la versione più moderna e immediatamente usabile dell’antico paradigma (mi riferisco a Gmail, Yahoo! Mail, e così via). I servizi webmail, proprio quelli, che sono spesso ormai l’unica versione di posta elettronica conosciuta dalle generazioni più recenti. Chi ha visto nascere Internet è stato abituato ad anni di lunghe configurazioni di client di posta, rocamboleschi settaggi per lasciare o non lasciare la posta sul server, e tutti i vari problemi al momento di cambiare computer. E ovviamente, inevitabili perdite di centinaia di messaggi in seguito alla rottura del disco rigido, o di un comando sbagliato, un settaggio fallace. Certo tutto questo è preistoria informatica, ormai. Usando un servizio webmail tutta la posta è accessibile da qualsiasi device, in qualsiasi momento (computer, laptop, smartphone, tablet…).
Tra i diversi standard, il protocollo POP per scaricare la posta in locale appare a mio avviso insopportabilmente datato. Porta addosso l’odore di una epoca in cui uno aveva uno – o al più due – computer (tipicamente, se era abbastanza informatizzato, casa e lavoro) dove scaricare la posta, un’epoca nella quale l’accesso in mobilità era ancora fantascienza, dove i telefoni… telefonavano soltanto. Dove persino Facebook non esisteva, tanto per dire….
Il webmail è in realtà una versione accattivante del protocollo IMAP, ideato nel lontano 1986, dove è possibile gestire i messaggi direttamente sul server. 1986, dicevamo. Dunque, vecchissimo, per gli standard del web. Come risultato, tante possibilità che uno potrebbe pensare, restano precluse. E’ molto più ricca la comunicazione via Facebook, o attraverso iMessage di Apple, ad esempio. Era assai più ricca l’interazione attraverso wave, l’esperimento di Google che doveva ‘svecchiare’ la posta elettronica, e che invece è purtroppo deceduto, ucciso da un interesse non abbastanza elevato.

Eppure ci si poteva pensare (almeno, con il senno di poi, mi pare evidente). Perché certo, wave aveva dalla sua una capacità innovativa sensazionale, era un protocollo aperto, estendibile, pieno di possibilità. Era tutto questo ed altro, ma con un difetto di origine. Un difetto terribile. Costringeva gli utenti a cambiare. A procurarsi ed adottare un indirizzo differente rispetto a quello della tradizionale posta elettronica. A fare un salto. O più verosimilmente, a tenere il piede in due staffe.

Chiaro che a molti la cosa non interessava.
Ipotizziamo ora uno scenario diverso, tanto per divertirci un po’. Uno scenario in cui l’innovazione non proceda per salti, ma avvenga progressivamente. Diciamo, a piccoli passi. Attraversando stati di quasi equilibrioUno scenario in cui non si debba cambiare indirizzo, ma vengano aggiunte via via possibilità al proprio esistente indirizzo email. Il punto è che i tempi sono maturi, adessoQuesto prima non era possibile, se non a botte di specifiche RFC (come quelle che definiscono, appunto, gli standard POP, IMAP etc…) . Ora invece è possibile, in casi specifici. Consideriamo ad esempio la diffusione enorme di Gmail: non è assolutamente infrequente che la comunicazione mittente – destinatario si consumi integralmente nei server di Google. Ecco a cosa penso, allora, avete capito.

Vediamo un po’. Cosa impedirebbe a Google – che nel caso citato, controlla integralmente la comunicazione – di introdurre nuove caratteristiche arricchendo il protocollo, piano piano? Basterebbe un meccanismo di ricaduta sullo standard più diffuso nel caso di fruizione al di fuori delle ampie braccia del gigante di Mountain View. E il gioco sarebbe fatto.

Un po’ come fa già Apple con la sua messaggistica: i messaggi che circolano tra due iPhone sono usualmente in forma iMessage (con caratteristiche arricchite rispetto ai semplici SMS, sul tipo di WhatsApp, per intenderci), mentre se uno dei due non è un iPhone (a volte capita…) avviene un fallback silenzioso ed efficace  sul protocollo SMS.

Così potremmo avere – tra due utenti di Gmail – la notifica automatica di consegna e anche di lettura, tanto per rimanere su un livello più semplice. E via via cose più sperimentali, rasentando pian piano i pregi e le caratteristiche di wave. Sempre però senza cambiare indirizzo. Sempre conservando l’indirizzo email già adottato, per il quale si usufruirebbe – appunto – di servizi arricchiti nel caso particolare in cui la comunicazione avvenga entro un certo ecosistema. Non sarebbe fenomenale? E non sarebbe un motivo per scegliere Gmail (o chi per lui, volesse farlo) invece di altri servizi, ad esempio?

E’ solo un esperimento mentale, ma fa capire la cosa. La posta elettronica dovrebbe progredire per piccoli passi, altrimenti alla gente non interesserà. E mentre la comunicazione attraverso i social network continua ogni giorno ad arricchirsi e progredire, per le email rimarremo fermi agli anni ottanta.

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Wave, mi manchi

Il protocollo di posta è vecchio. Avevano ragione quelli di Google. Che peccato che Wave sia stato chiuso… mi manca!
Per Natale voglio Wave attivo… 🙂
  • Mi manca il fatto che quando invio un messaggio, dal momento in cui premo “Send” non posso più modificarlo. Mi stranisce che non sia più in mio potere. Se c’è qualcosa da rettificare, mi tocca mandare un ulteriore messaggio. Eh no. Se c’è qualcosa che desidero cambiare, in ogni momento, vorrei poterlo fare
  • Mi manca il fatto che non possa includere persone in una conversazione ad un certo momento, senza che loro possano autonomamente scorrersi tutta la lista dei messaggi scambiati dal momento iniziale fino al momento della loro entrata
  • Mi manca che un botta e risposta possa diventare praticamente come una chat, con la possibilità di intervenire in tempo reale, senza scaricare continuamente nuovi messaggi
  • Mi manca il fatto che tutti gli interventi siano belli allineati in una pagina, e non siano una serie di mail diversi collegati l’uno con l’altro (lasciamo stare che Gmail te li organizza comunque, è sempre un workaround)
  • Mi manca il fatto di non poter includere multimedia all’interno del messaggio (metterli come “allegato” è limitativo)
  • Mi manca il fatto di non poter pensare la comunicazione come una lavagna condivisa, dove vedo cosa fanno gli altri nel mentre che io “faccio cose” (scrivo, disegno, inserisco grafici…)
  • Mi manca il fatto di non poter disporre di plugin per estendere le funzionalità quando necessario
  • Sicuramente mi manca altro, che ora non ricordo…
Più passa il tempo più mi accorgo che stiamo usando un protocollo vecchio come il cucco, pensato per connessioni ad Internet “episodiche” (mentre ormai siamo online 24/7), con flessibilità decisamente ridotta. Ecco. Qualcosa dell’idea di Wave è nella messaggistica di Facebook. Ma solo qualcosa.
Wave, quanto mi manchi…

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Andando a cercare i miei 52.506 messaggi di posta…

Finalmente. A volte capita, cerchi una cosa che magari hai usato un minuto prima e non sai più dove l’hai messa. Per esempio, dove sono andati a finire i miei più di cinquantaduemila messaggi di posta elettronica? Eppure stavano da queste parti, mi pareva… Li hai visti per caso? Sì sì lo so, lo so bene che puoi aprire Chrome e te li vedi tutti. Ma io intendo, dove sono andati a finire fisicamente (posto che questa bellissimo avverbio abbia significato in questo frangente).
Credo che nessuno può dirlo meglio di Mr. Google (anche lui, fisicamente non esattamente rintracciabile, ma diciamo così tanto per brevità). E lui mi dice di dare un’occhiata qui, oppure al filmato seguente.

Se ci penso, quante emozioni, quanti pensieri, quante sensazioni, illusioni, conferme, smentite, ipotesi di possibilità, progetti iniziati e non finiti, progetti iniziati e finiti senza quasi saperlo… quante gioie e indicazioni di percorso, lamenti e delusioni e poi ancora ritorni alla speranza e conferme, sono mischiati in questa mezzo centomilata di messaggi.  
Chissà ognuno di loro dove si trova, quale minuscola porzione di disco occupa, in quale di questi armadioni (o di altri simili)… 

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Condisci il tuo Gmail con un bel tema…!

    • Gmail fans have been building unofficial extensions to spice up their inboxes for a while, but up til now themes haven’t been an integral part of Gmail. We wanted to go beyond simple color customization, so out of the 30 odd themes we’re launching today, there’s a shiny theme with chrome styling, another one that turns your inbox into a retro notepad, nature themes that change scenery over time, weather driven themes that can rain on your mailbox, and fun characters to keep you in good company


Tra ieri e oggi hanno fatto la comparsa i temi nei vari account gmail; personalmente ieri sono andato a dormire con il Gmail “classico” e stamattina aprendolo al lavoro mi sono trovato disponibili di botto una serie di differenti temi, a colori vivaci o morbidi pastello. Molto interessante e… piacevole: se non aggiunge nulla sul piano della funzionalità (ma come si fa ad aggiungere qualcosa a livello di funzionalità a Gmail ormai…?) fornisce quel tocco di personalizzazione che rende più gradevole l’uso del servizio attraverso l’interfaccia web.



Come anche per iGoogle anche diversi temi di Gmail hanno la caratteristica di presentare scene che variano con le ore del giorno; piccolo particolare gradevole per chi magari per lavoro deve passare la giornata nei pressi del computer, tutto sommato…!

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Lo spam fa trent’anni…!

In effetti questa cosa dello spam, delle mail-spazzatura, è ben nota a tutti i naviganti ormai. Per quanta attenzione si possa fare nel non divulgare inopinatamente il proprio indirizzo email, a quanto pare alla fine una buona parte di spam arriva a tutti. Proprio oggi parlavo con un collega il quale mi diceva che – solo per l’indirizzo di lavoro – riceve qualche centinaio di mail spazzatura ogni giorno. E purtroppo è abbastanza frequente; non posso che essere contento, per parte mia, dell’efficacia del filtro antispam di Gmail (e personalmente sono sui 10000 spam al mese, raccolti da un paio di accounts che confluiscono in Gmail); ma anche così il problema rimane, anche se è meno fastidioso, e la possibilità di perdere quel mail importante tra il mare di mail “non richieste” c’è sempre…

Che dire: consoliamoci magari leggendo “la storia” del primo mail di spam, interessante anch’essa come – a parer mio – ogni sguardo all’evoluzione dell’uso del computer (anche se certo questo episodio iniziale aveva ben altri e più “lievi” caratteri rispetto alla consuetudine odierna!)

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Gmail ora supporta lo standard IMAP

Non l’ho ancora provato (l’ho appena scoperto da un post sul canale Google di Jaiku) mi sembra comunque un cambiamento di notevolissima portata (come potranno capire tutti quelli che apprezzano lo standard IMAP per la lettura della posta, ben più flessibile ed evoluto del classico ed ancora utilizzatissimo POP3). Il fatto di poter usare IMAP per leggere Gmail consente finalmente di usare un client di propria preferenza (ma io direi Mozilla Thunderbird!!) per leggere la posta, lasciandola sul server e dunque potendo trovare le proprie mail al loro posto, qualsiasi computer si stia usando. Notevole davvero.

Accipicchia. Sarò un fanatico, ma… Ormai non riesco proprio più a trovare una ragione sulla faccia della terra, per non preferire Gmail a qualsiasi altro servizio di posta elettronica, gratuito o a pagamento…! 😉

One of the most requested Gmail features was the addition of IMAP support. POP is nice, but IMAP is a much better option. Among the advantages, you’re always connected to the server, more clients can connect to the same account, you can obtain the text from a message without the attachments and the state information is synchronized (you can add labels from the client, read or delete a message and Gmail will synchronize).

Gmail Supports IMAP

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