Ricordo bene l’entusiasmo dell’inizio, di quando Gmail stava aprendo progressivamente al pubblico, e veniva distribuito ad inviti. Ogni iscritto aveva a disposizione, mi pare, appena una decina di inviti. Mi è stato detto che venivano anche messi in vendita su Ebay. La gente aveva davvero voglia di provare qualcosa di nuovo, per la posta elettronica. Si era nel 2004, ma già quel senso di novità premeva. Il protocollo email del resto è una delle cose più antiche che abbiamo nel campo delle comunicazioni telematiche, che resiste splendidamente anche a coraggiosi (e defunti) tentativi di innovazione.
Così Gmail ha assorbito integralmente le mie modalità di fruizione della posta elettronica; nel tempo, ha lavorato sui fianchi tutte le altre soluzioni e le altre possibilità. E’ rimasta solo lei. Fino a che qualcuno oserà di nuovo, proporrà una visione più ampia, farà il prossimo passo avanti.
Ma ora, accantonata anche la parte più biografica, vorrei concludere con un piccolo pensiero, giusto per provare ad allargare lo sguardo.
Gmail è stato coraggioso fin dal suo sorgere. Innovativo in una grande quantità di modi, ha mostrato nel 2004 che su Internet c’era ancora posto per la creatività e per una sana innovazione. Ha costretto molte persone a ridefinire l’idea della posta elettronica, traghettandola definitivamente nel nuovo millennio.
Adesso il rischio è perdere questa spinta, lasciarla svaporare, acquietarsi su una rete che appare propagazione irriflessiva dello status quo e specchio troppo fedele dell’onnipresenza della pubblicità, unica entità veramente indiscutibile in un modo telematico, un tempo felicemente disordinato ed anarchico, ora troppo dominato da logiche commerciali. Una rete che – di conseguenza – è più che mai, alla ricerca di un senso.
C’è bisogno di rischiare qualcosa di nuovo, sulla rete. Rischiarla in nuova progettualità, delle aziende, delle associazioni, dei singoli. Perché a volte questo (ragionevole) rischio, paga.