Decisamente interessante il fondo di Luca Sofri significativamente titolato Vaccate apparso pochi giorni fa su Il Post. Riguarda qualcosa che interessa ognuno di noi, riguarda l’abbattimento verso il basso di tanta comunicazione.
… del meccanismo democratico si sono impadroniti in questi anni coloro che ne hanno capito i trucchi (una cattiva informazione, un lavoro di propaganda menzognera, una celebrazione dell’ignoranza e dell’egoismo, lo rendono sterile e fallimentare), e le leggi del libero mercato in assenza di principi etici generano mostri e ingiustizie, lo sappiamo da secoli.
Che sia la pubblicità che domina l’universo neoliberista è ben noto. Che sia il vero pilastro intorno a cui tutto si organizza, l’unica cosa indiscutibilmente vera in questa distorsione di priorità e di valore in cui siamo da tempi immersi.
Più bravi noi di loro, a fare vaccate…
Quello che a volte ci manca è il desiderio concreto di uscirne, e prima ancora meglio la percezione che sia possibile uscirne. There is no alternative è la risposta usuale del nostro cervello davanti a questioni del genere. Raramente ci viene da pensare che possa essere una menzogna, che ripetiamo a noi stessi. Che si può lavorare verso qualcosa di nuovo, di diverso, di migliore. Iniziando proprio dal linguaggio, dall’uso delle parole, che è poi il vero tema dell’intervento di Sofri.
La vera vaccata sarebbe questa, dopotutto. Rinunciare a cambiare.
Come passa il tempo! E non potrebbe iniziare in modo differente questo post. Ora che Gmail ha appena compiuto il suo quindicesimo anno, mi viene da ripensare ai primi momenti di vita, al suo esordio. Che io ho praticamente vissuto, insieme con lei.
Ricordo bene l’entusiasmo dell’inizio, di quando Gmail stava aprendo progressivamente al pubblico, e veniva distribuito ad inviti. Ogni iscritto aveva a disposizione, mi pare, appena una decina di inviti. Mi è stato detto che venivano anche messi in vendita su Ebay. La gente aveva davvero voglia di provare qualcosa di nuovo, per la posta elettronica. Si era nel 2004, ma già quel senso di novità premeva. Il protocollo email del resto è una delle cose più antiche che abbiamo nel campo delle comunicazioni telematiche, che resiste splendidamente anche a coraggiosi (e defunti) tentativi di innovazione.
E quella trovata dello spazio disponibile, che aumentava piano piano? Una cosa in completo stile Google, ovvero con quell’idea di divertimento che aleggia anche su progetti su cui si punta molto. Ma era così. C’era un contatore, nella propria area email, che segnava momento per momento l’ammontare di spazio di archiviazione a cui si era arrivati. Tutto cominciò, come sappiamo, da 1 gigabyte, che a suo tempo sembrava uno spazio assolutamente immenso. A quel tempo, gli account gratuiti offrivano ambienti di qualche decina di megabyte, più o meno. Un gigabyte sembrava una cosa del tutto impossibile da riempire, nemmeno in una vita. Sappiamo bene che non è così, soprattutto al giorno d’oggi e con l’aumentare dei contenuti multimediali trasmessi anche via email; a quel tempo, la situazione era davvero diversa.
E fu il mio inizio. Senza troppo sperarci, chiesi su un forum un invito a chi ne aveva disponibili, e mi arrivò (gratis, grazie al cielo). Così registrai subito il mio account m.castellani e iniziai, iniziai questa avventura. Da allora non sono più sceso da gmail, mi trovo bene e apprezzo molto le sue qualità. E’ il sistema di posta elettronica, per me.
Tanto più vero, da quando anche il mio istituto si è affidato a Google per la gestione della posta, e dunque anche i mail di lavoro li leggo sempre con la interfaccia Gmail (che uso da anni tramite l’ottimo e robusto MailPlane, che mi libera dal dover usare il browser per leggere i messaggi di posta, regalandomi la flessibilità e l’indipendenza di un programma dedicato).
Così Gmail ha assorbito integralmente le mie modalità di fruizione della posta elettronica; nel tempo, ha lavorato sui fianchi tutte le altre soluzioni e le altre possibilità. E’ rimasta solo lei. Fino a che qualcuno oserà di nuovo, proporrà una visione più ampia, farà il prossimo passo avanti.
Ma ora, accantonata anche la parte più biografica, vorrei concludere con un piccolo pensiero, giusto per provare ad allargare lo sguardo.
Gmail è stato coraggioso fin dal suo sorgere. Innovativo in una grande quantità di modi, ha mostrato nel 2004 che su Internet c’era ancora posto per la creatività e per una sana innovazione. Ha costretto molte persone a ridefinire l’idea della posta elettronica, traghettandola definitivamente nel nuovo millennio.
Adesso il rischio è perdere questa spinta, lasciarla svaporare, acquietarsi su una rete che appare propagazione irriflessiva dello status quo e specchio troppo fedele dell’onnipresenza della pubblicità, unica entità veramente indiscutibile in un modo telematico, un tempo felicemente disordinato ed anarchico, ora troppo dominato da logiche commerciali. Una rete che – di conseguenza – è più che mai, alla ricerca di un senso.
C’è bisogno di rischiare qualcosa di nuovo, sulla rete. Rischiarla in nuova progettualità, delle aziende, delle associazioni, dei singoli. Perché a volte questo (ragionevole) rischio, paga.