Questo è il punto. Ormai non ci meravigliamo più. Siamo capaci di trascorrere le giornate, infatti, considerando “normale” quello che solo fino a pochi anni fa avrebbe destato la più grande meraviglia. Come appare normale, ormai, l’idea di essere sempre connessi.
Dovunque andiamo ormai ci aspettiamo di poter avere l’accesso ad Internet. Eh sì, perché ormai l’accesso ad Internet è diventato sempre più portatile, quasi ormai indossabile, e dunque non siamo troppo disposti a farne a meno. Anche perché, sempre più attività si svolgono sul web.
Pare strano, adesso, pensare a quando Internet non c’era. Ma appare ancora più strano pensare all’epoca in cui Internet, pur esistendo, non era diffuso così capillarmente come adesso, non era percolato nelle più varie attività umane. Pare strano, per chi ha vissuto l’epoca di transizione dal non connessi al sempre connessi, con tutte le gradazioni che si sono prodotte, nel tempo.
Non sempre ce ne rendiamo conto, ma siamo sulla soglia di una rivoluzione epocale. Soprattutto, penso, non se ne rendono conto i nativi digitali, le persone nate e cresciute con Internet, con l’idea di averlo sempre a disposizione, con la sensazione sottopelle che sia una cosa eterna ed immutabile.
A volte penso che questi nativi si siano persi una cosa formidabile. La sensazione frizzante di una cosa nuova e bella che stava arrivando. Non capita tutti i giorni, una rivoluzione così. Ricordo la meraviglia di caricare una pagina web, anche semplice semplice, solo testo e una figura piccolina. Niente interattività, niente javascript, AJAX, applet, cose che si modificano da sole, niente. Pagina totalmente statica.
Ma già realizzare di poter seguire una serie di collegamenti, che ogni pagina può essere collegata ad una miriade di altre, in un gigantesco e potenzialmente illimitato ipertesto, già il presentimento timido di iniziare dunque un’esplorazione che virtualmente può non avere mai fine. Già questo, già questo rimarrà per sempre una cosa straordinaria. Che solo una piccola parte di umanità potrà mai aver provato (sì, posso dire, per quel che vale, io c’ero).
Ancora di più, la scoperta di poter creare dei contenuti ed esporli in questa rete. Che siano potenzialmente fruibili in Giappone, in Asia, in Antartide. Dovunque. Ma come poterlo pensare, prima di Internet?
A ripensarci, è avvilente che usiamo tutto questo, che sfruttiamo questa rete di meraviglia, a volte, semplice-mente per questionare su Facebook. Ma ci sta, anche questo ci sta. E’ umano, totalmente umano. L’importante è rendersi conto, rendersi conto di che strumento formidabile abbiamo a disposizione. Sottrarlo un momento dal velo opaco dell’abitudine – sotto il quale l’abbiamo sepolto – per meravigliarci, di nuovo.
Dopotutto Internet, senza la meraviglia, è morto, è una cosa morta. Con la meraviglia e lo stupore, veicolati in rete, possiamo fare grandi cose.
Mi azzardo a dire che al momento attuale, le novità più interessanti legate al mondo del web e dei servizi che vi girano intorno, vengono da un paio di aziende appena: Apple e Google. Due aziende – lo sappiamo – quanto mai distanti per filosofie di sviluppo, strategie commerciali, licenze e quant’altro. Due modi di intendere la comunicazione e la fruizione di contenuti sulla rete.
Non credo vi siano molte cose in comune nella visione di Apple e di Google. Una è puntata sulle dispositivi mobili e vede la rete principalmente come una utile possibilità di interconnetterli, l’altra scommette sul web come una sorta di piattaforma unica universale, ove far “vivere” il suo mondo di servizi. Al proposito, c’è da dire che il mondo di servizi e di offerte di Google sta diventando sempre più organico e completo, e il divario con quello di Apple (un tempo decisamente più coerente ed omogeneo) si sta sempre più assottigliando.
Insomma… Ma perché non mi hanno invitato? (Crediti: Google)
Google IO 2013 si è appena svolto, e dalla serie di novità illustrate, abbiamo ben capito che nell’azienda di Mountain View non amano certo stare con le mani in mano. Mi astengo dal listare tutte le varie cose annunciate, e mi limito a focalizzarmi – coerentemente con le impostazioni di questo blog che dà ampio spazio alla lettura su supporti digitali – su un aggiornamento di Play Books, tutt’altro che trascurabile: la possibilità finora inedita di caricare files in formato epub e pdf.
Non è una cosa da poco. Instantaneamente si apre un mondo. Finalmente i files epub infatti possono essere letti dappertutto, finalmente hanno una circolazione potenzialmente universale. Basta infatti caricare i propri libri digitali(ovviamente, quelli non protetti dagli infausti DRM: solo il social DRM può andar bene) dal computer nella propria area di Play Books, e subito potremo accedere ai libri caricati praticamente da qualsiasi dispositivo: Play Books ha software per tutte le piattaforme.
E’ la soluzione più facile e diretta per leggere gli epub, a mio avviso. Quali erano le possibilità, finora? Certo, si poteva usare il proprio account Amazon, caricare il file epub come documento. Possibile, certo. A patto prima di convertire il file da epub ad un formato “gradito” ad Amazon, come il moby. Dunque rendendo necessario un passaggio in più.
Oppure – da utenti Apple – si poteva naturalmente caricare il file sull’iPad o sull’iPhone e leggerlo con (l’ottimo) software iBooks. Splendido, certamente. Con l’unica noia di dover ripetere l’operazione per ogni dispositivo su cui si intende leggere il dato libro, e di non poter comunque fruire della lettura da computer o notebook, nemmeno se a marca Apple (l’azienda di Cupertino non ha mai rilasciato un software di lettura per sistemi).
Ora i nostri libri in epub possiamo caricarli dentro Google Books e li leggiamo istantaneamente dappertutto: basta un browser, in effetti. “Ovviamente” abbiamo la sincronia assicurata in caso di lettura da vari dispositivi, e la utile possibilità di evidenziare dei passaggi. Per gli amanti del libri, una possibilità decisamente interessante.
Mi sto accorgendo che, pian piano, sta riuscendo a Facebook (forte della sua amplissima diffusione, che la rende praticamente uno standard “de facto”) quello che non è riuscito praticamente mai a nessuno (intendo sul serio). Avete presente quei tastini blu con “mi piace” che compaiono sempre più spesso nei diversi siti? Quelli che segnalano su Facebook il gradimento di una qualsivoglia pagina web, per capirci. La cosa simpatica è che oltre al numero di persone a cui piace una data pagina, vengono elencati espressamente i tuoi amici che hanno dato il gradimento. Siccome gli amici vengono scelti anche in base agli interessi, non è raro trovarne nelle pagine che visitiamo personalmente.
Per esempio, a me che per lavoro e per passione scorro diverse pagine e siti di argomento astronomico (e sempre di più trovo implementate i widget di Facebook), non è raro imbattermi in un sito che trovo già “apprezzato” da alcuni miei contatti. Questo innegabilmente rende la navigazione meno impersonale e aggiunge in alcuni casi un gradevole senso di comunità.
In questo modo si ottiene una sorta di “gradimento” della pagina, per di più “personalizzato”, che tanti indici e rank secondo me non sono mai riusciti a rendere interessante.
Alcuni astronomi dell’Università di Manchester e di Cardiff hanno appena reso disponibile un nuovo affascinante modo di esplorare la galassia. Il nuovo strumento è raggiungibile online, è stato chiamato Cromoscopio (Chromoscope, in inglese) e permette a chiunque di esplorare la Via Lattea o le zone più remote dell’Universo, in maniera più facile e divertente di quanto fosse possibile finora.
Il sito può mostrare il cielo in un ampio intervallo di lunghezze d’onda, dai raggi gamma di alta energia fino alle lunghezze d’onda più lunghe tipiche delle onde radio.
Una visione a varie lunghezze d’onda della Nebulosa di Orione Crediti: University of Manchester website
Il principale sviluppatore del progetto, Stuart Lowe (Università di Manchester) ribadisce che Cromoscopio è un progetto di natura collaborativa.
“Cromoscopio usa dati da un insieme di osservatori, che includono il radio telescopio gigante a Jodrell Bank” ha detto “questo permette alle persone di esplorare le connessioni tra il cielo notturno che vediamo con i nostri occhi e il cielo che gli astronomi esplorano a diverse lunghezze d’onda, come il radio e l’infrarosso”.
Robert Simpson, membro del progetto (da Cardiff) aggiunge:
“Cromoscopio getta nuova luce sugli oggetti a noi familiari, come la Nebulosa di Orione, la più vicina zona ove nascono nuove stelle. Questa visione dell’Universo è stata familiare agli astronomi professionisti per lungo tempo, ma Cromoscopio la rende accessibile a chiunque”.
Il sito di Cromoscopio è stato presentato alla dotAstronomy Conference a Leiden, in Olanda. dotAstronomy è la più grande conferenza annuale al mondo dedicata ai lavori che combinano la ricerca astronomica di punta con le ultime tendenze nelle tecnologie web.
Senza dubbio uno strumento interessante (consiglio anche la presentazione su YouTube), che si va ad aggiungere ai diversi modi in cui – grazie alle tecnologie più recenti – è diventato davvero possibile farsi una idea abbastanza precisa del lavoro degli astronomi “di professione”, mediante soltanto un computer connesso a Internet, e (soprattutto) tanta curiosità e desiderio di conoscenza…!
Leggo ora che il servizio Geocities chiuderà i battenti a giorni: il 26 ottobre i siti che ancora si appoggiano a tale antico servizio saranno dismessi. Il nome Geocities forse potrà dir poco o nulla (certo molto meno di Facebook o Youtube) ai più giovani navigatori del web, ma ai più attempatelli (tra i quali il sottoscritto) c’è il caso che evochi molte memorie… Al proposito (valga come disclaimer) vi anticipo che nel seguito sarete annoiati con un selezionato campione delle mie 😉
Cominciamo? Bene, allora torniamo indietro ai primi anni ’90, la preistoria per il web. Pochi avevano Internet a casa, nessuno ne parlava e i media lo ignoravano completamente. In alcuni luoghi, come gli istituti scientifici, però vi era già e veniva usato. Durante il mio dottorato in astromia, all’Osservatorio di Roma a Monteporzio (dove attualmente ancora lavoro), ebbi dunque la mia prima esposizione ad Internet. Certo il web era veramente più esiguo che oggi, pochi siti composti da pagine sobrie e statiche, in pieno stile 1.0: popo più che documenti accessibili dal broeser, con grafica minimale… oggi sembrerebbero davvero “strane”.
Non era ancora diffusa l’idea del blog (lasciamo stare poi Facebook o i microblog tipo Twitter…); il paradigma che cominciava invece ad affermarsi tra chi disponeva di spazio web (e non era così immediato), di chi masticava un poco di HTML (ancor meno immediato) era quello della pagina personale: la propria Home Page veniva così intesa come una sorta di “presentazione” del proprio profilo e delle proprie attività lavorative, insieme ad un paio di foto e una presentazione dei propri interessi. C’è bisogno di dire che tale struttura era assolutamente statica e aggiornata normalmente solo di tanto in tanto?
Nonostante tutto, poter possedere una pagina propria mi sembrava una cosa affascinante. Come fare però? A quel tempo nemmeno l’istituto dove operavo metteva a disposizione spazio web, o comunque non ad un dottorando. Dunque dovevo aspettare. Ma il web mi sembrava già una cosa incredibile, di grandissima portata; forse la più grande invenzione nella trasmissione di informazione dopo la stampa: pubblicare un documento a Roma e renderlo immediatamente visibile in Germania, negli USA, dappertutto. Chi l’avrebbe pensato possibile, fino a poco tempo prima?
Non ricordo esattamente come (forse segnalatomi da uno dei system manager di allora) ad un certo punto mi imbattei in Geocities. Non ci potevo credere, ero realmente eccitato. Poter scrivere sul web, pubblicare una pagina, un sito… tutto mio. Sono cose che al momento attuale non sorprendono nessuno. A me allora pareva incredibile: ricordo ancor adesso assai bene la mia trepidazione, l’entusiasmo e l’esaltazione di quando aprii il mio account e salvai la mia prima paginetta. Ricordo anche che nella fretta, quel giorno, ci scrissi qualcosa (in inglese, lingua allora quasi obbligata del web) tipo “benvenuti forse nella peggiore pagina di Internet. Nessun link, nessuna foto, nessun testo… Tornate tra un pò, dovreste trovare altre cose!“. Misi un paio di leggeri elementi grafici, uno sfondino verde, e salvai. Tutto qui: ma l’emozione era tanta. Una pagina tutta mia, che si poteva vedere ovunque! (Lo so che state sorridendo, eh!)
Pian piano – nei mesi successivi – aggiunsi contenuti, sottopagine, definii gli sfondi, i link etc. Esplorai anche il circondario: il bello del primo Geocities – in cui ci si sentiva davvero comunità – era che i siti venivano rappresentati, scorrendo la lista degli utenti, in una pagina grafica, come delle piccole casette collegate tra loro da un sentiero. Così ti veniva la curiosità di andare a vedere chi abitava vicino a te, curiosare di cosa scriveva, magari scrivergli un mail. Poi c’erano i quartieri, le città. A seconda dell’argomento della tua pagina (arte, scienza, istruzione…) prendevi casa in CapeCanaveral, in Paris (io presi la prima casa a CapeCanaveral, per la scienza, ma poi traslocai in Paris/Bistro perchè aumentai la sezione della scrittura creativa – vi era proprio una procedura apposita di trasferimento, ricordo). La URL della pagina era composta dal nome del quartiere e da un numero, appunto il tuo numero di casa. Se uno la lasciava, un’altro poteva venire a prenderla, trovandola libera. Indubbiamente il paradigma delle case e quartieri era affascinante….
Tante altre cose potrei raccontare, ma temo che i pochi arrivati fin qui, si tedierebbero in maniera eccessiva… Il web era appena cominciato, e da lì cominciava la sua avventura da strumento di pochi a mezzo di comunicazione di massa, com’è al momento attuale. Gli strumenti tecnici, i linguaggi del web, si perfezionavano e si ampliavano pian piano, parallelamente alla sua diffusione.
Rimane il fatto che la chiusura di Geocities, se pur non sorprende, sancisce nettamente il fatto della mutazione di Internet, verso tipi di interazione più sociale, verso siti più dinamici e multimediali, o aggiornati molto più di frequente… ciao Geocities, mi lasci comunque tanti bei ricordi… 🙂