Universo al computer: l’arte moderna di simulare

Guardate bene l’immagine qui sotto. Straordinaria, nel suo livello di dettaglio, non trovate? Ebbene, se pensate che sia una parte dell’Hubble Deep Field o comunque una immagine reale dello spazio profondo, acquisita con qualcuno dei più grandi telescopi a terra o nello spazio, siete in errore (ma pienamente giustificati, viste le circostanze). La cosa notevole è che non state guardando una vera immagine dell’universo, ma una simulazione teorica. 

Visivo image 1 0

Settanta milioni di elementi per questa simulazione, che rende pienamente conto della varietà dell’universo: galassie ellittiche, nane, interagenti. E anche vuoti. E filamenti. Grazie alla potenza degli attuali elaboratori, il modello si avvicina sempre più alla realtà così come la osserviamo. Crediti immagine: Becciani U. et al.

Per la precisione, l’immagine mostra la bellezza di settanta milioni di elementi ed è ottenuta da una simulazione ad N corpi  creata attraverso VisIVO (Visual Interface for the Virtual Observatory). VisIVO è una collezione di software open source con il quale si possono realizzare immagini da dati astrofisica su larga scala. Con tale software – e con simili tecnologie informatiche – gli astronomi sono ora in grado di processare enormi set di dati, anche provenienti da diverse sorgenti, e combinarli in visualizzazioni tridimensionali, che risultano estremamente accurate. 

Così l’universo osservato e l’universo simulato si avvicinano sempre di più, magari in un futuro arriveremo ad un livello di dettaglio ora impensabile… chissà, se noi stessi fossimo una simulazione molto ben realizzata, da qualche ignota civiltà? Scenario da fantascienza, abbastanza irreale ma comunque suggestivo, almeno dal punto di vista letterario! 

Tornando… con i piedi per terra (ma il naso in sù come sempre), è interessante anche il fatto che il computing power che ha reso possibile questa simulazione sia tutto italiano: precisamente, viene dal Consorzio Cometa, una rete grid di computer (ovvero, una infrastruttura di calcolo distribuito, di solito usato per l’elaborazione di ingenti quantità di dati) sparsi su sette diversi siti, tutti localizzati in Sicilia. Cometa fornisce l’accesso alla bellezza di 250 CPU e ben due terabyte di spazio di memorizzazione. 

Elaborazione di un post da Astronoming Computing Today

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Le sonde marziane ed il cloud computing…

Il team del progetto che ha costruito e che mantiene in opera le sonde Spirit ed Opportunity, è destinato a diventare, in NASA, il primo ad impiegare tecniche di “cloud computing” per la gestione delle missioni giornaliere delle sonde.
Tra gli addetti informatici se ne parla molto, negli ultimi tempi. Il cloud computing è un modo abbastanza nuovo per guadagnare in flessibilità nelle risorse di calcolo, “ordinando” capacità a seconda del bisogno – prelevando le risorse dalla “nuvola”, ovvero da server connessi tramite Internet, dei quali spesso non si conosce la locazione fisica o il numero – pagando solo per le risorse effettivamente utilizzate, evitando sprechi.
Il NASA Mars Exploration Rover Project ha adottato questa strategia la scorsa settimana, per il software ed i dati che il team utilizza per sviluppare le attività giornaliere dei due rover. John Callas, project manager, spiega: “Questo è un cambiamento del modo di pensare alle risorse dei computer e all’immagazzinamento dei dati, allo stesso modo a cui si pensa all’elettricità, oppure ai soldi nel conto in banca. Non devi tenerti tutti i soldi nel portafoglio. Piuttosto, quanto ti servono vai ad uno sportello bankomat e li prelevi. I tuoi soldi rimangono al sicuro, e la banca ne può tenere pochi o tanti, come preferisci tu. Per i dati va nello stesso modo: non ne hai bisogno di tutti quanti al medesimo tempo. Possono essere tranquillamente memorizzati da qualche altra parte, e li puoi ottenere in ogni momento tramite una connessione Internet. Quando abbiamo bisogno di maggiori risorse di calcolo, non è necessario istallare più server se possiamo prendere ‘in affitto’ la capacità necessaria per il tempo che ci serve. In questo modo non andiamo a sprecare elettricità o aria condizionata per dei server che aspettano di essere usati, nè abbiamo a preoccuparci riguardo l’obsolescienza di hardware e sistema operativo”.
Spirit ed Opportunity sono atterrati su Marte nel gennaio del 2004, per una missione la cui durata era stata prevista di appena tre mesi. Sappiamo bene come è andata, poi… Le estensioni della missione sono inaspettatamente continuate per più di sei anni! Opportunity è correntemente attiva, e questo richiede una pianificazione giornaliera da parte di un team di ingegneri del Jet Propulsion Laboratory, come pure di scienziati nel Nord America ed in Europa. Spirit è rimasta invece in silenzio dal marzo di quest’anno, e si pensa che sia in uno stato di ibernazione a basso consumo di energia per affrontare l’inverno di Marte.

Immagine artistica di un rover NASA in esplorazione di Marte. Crediti: NASA/JPL/Cornell University
Ai Jet Propulsion Laboratory fanno notare come il progetto dei rover sia perfetto per il cloud computing; difatti esso si appoggia su una comunità di utenti assai distribuita, che agiscono in maniera collaborativa. Il vantaggio del cloud computing allora è di poter fornire le risorse all’utente da posizioni a lui vicine, guadagnando sul tempo di interazione.
In più, il fatto che le missioni si siano rivelate così inaspettatamente longeve, ha comportato il fatto che il volume di dati impiegati ha superato abbondatemente i piani iniziali, il che rende particolarmente attraente la possibilità virtualmente illimitata del cloud computing stesso.
Ecco un’altra dimostrazione di una missione longeva che si giova, via via, del progredire della tecnica durante il suo (esteso) tempo di operatività. Potrebbe venirne in mente almeno un’altra assai nota… ok, chi ha pensato al Programma Voyager ?? ;-)
(Originariamente pubblicata su GruppoLocale.it)

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