La missione (quasi) impossibile

Domenica pomeriggio ho visto Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno. Mi sono divertito, ho ammirato la costruzione di un’opera complicatissima, ho goduto in particolare delle scene girate in Italia (Roma e Venezia, con una fotografia splendida). E in due ore e tre quarti circa in un susseguirsi mozzafiato di scene di azione (mirabolanti), ho anche riflettuto.

Sì, perché questo film è spettacolarmente attuale. Attualissima è la percezione acuta di come l’intelligenza artificiale sia la vera cosa che genera ammirazione ed inquietudine, in pari misura. Sorprendente che la sceneggiatura sia stata scritta ormai anni fa, perché – almeno per l’Italia – è una fotografia esatta di un dibattito che sta avvenendo nel momento presente.

Mi viene da pensare all’incontro tra Federico Faggin e Marco Guzzi, nel quale molto si è ragionato sull’intelligenza artificiale (con dei punti di vista che a mio avviso rimarranno come riferimenti fermi in un dibattito che fermenta ogni giorno di più).

Un film così è interessante, certo, perché è ben realizzato e ti fa trascorrere un mezzo pomeriggio di evasione ben progettata, rispettosa, non fatua: per cui non avverti quella sgradevole sensazione di perdita di tempo che senti scrollando Facebook od Instagram, oppure ruotando pigramente i canali televisivi. Senz’altro è un buon prodotto, da tanti punti di vista.

Oltre questo, però, ti fa riflettere su cosa viene percepito come pericolo nella società attuale, pesantemente ed invasivamente telematica. Se prima infatti erano i russi cattivi a generare inquietudine (prima ancora, i tedeschi e prima ancora, gli indiani), ora (e paradossalmente, con una vera guerra in corso!) è la possibilità di un completo dominio delle macchine che ci spaventa davvero. Il vero cattivo è diventato l’algoritmo, così potente e pervasivo da usare cose e persone per i suoi obiettivi. Così efficace da gettare un’ombra su tutto ciò che è digitale (significativo che la desueta tecnologia analogica sia vista nel film come l’unica realmente fuori dal controllo dell’algoritmo), che ancora in tempi recenti ci pareva così scintillante e nuovo e scevro da difetti, da generare consistenti entusiasmi.

Sarà una missione impossibile quella di maturare una riflessione profonda sul nostro rapporto con la tecnologia? E non sono domande, queste, veramente spirituali? Marco Guzzi avverte che ”il nuovo creativo-cristiano (il mistico-tecnico) è una persona spirituale che rinnova e approfondisce ogni giorno il proprio contatto con lo Spirito dell’Amore che lo ri-crea, lo unifica, e lo rende così agente della Ri-Creazione universale”.

Non sarà forse che questo contatto di cui parla Guzzi è necessario per riguadagnare (anche) una visione equilibrata della tecnologia (insieme con un suo uso, parimenti equilibrato)? Non sarà, più in generale, che tecnica e mistica devono ormai necessariamente procedere insieme, perché non ci possiamo più permettere nessun indebito sviluppo di una parte se l’altra parimenti non viene coltivata e sviluppata?

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Pubblicato da Marco Castellani

Marco Castellani, astronomo, divulgatore, scrittore

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