A peso d’oro o quasi, non ho fatto i conti. Certo che la cosa quando l’ho scoperta mi ha colpito non poco. Ora vi spiego. Come confessato nell’altro post di ruminazioni sui programmi di scrittura, sono da tempo in oscillazione tra il mondo Windows e quello Apple.
E per togliermi un poco dall’impaccio, mi diverto a comparare le vie percorribili, nell’uno e nell’altro universo. Per esempio, che portatile sui 13 pollici mi piacerebbe comprare? Sì, forse non è una domanda drammaticamente urgente, ma mi capita di farmela.
Ed ecco il problema. Da una parte mi attira il Galaxy Book 360, per il fatto che si può rigirare come un calzino (tipo) e si trasforma agevolmente in un tablet di tutto rispetto, con schermo touch e pennetta per scrivere, di serie. Dall’altra faccio un pensierino sul nuovo MacBook Air con chip M2. L’Air vanta una risoluzione molto maggiore (2560×1664 pixel, contro 1920 x 1080 del Galaxy), però, va anche detto che solo quest’ultimo è AMOLED.
Forse può essere divertente, ma alla fine rimango con un senso di insoddisfazione, quasi di amarezza. Lo spot recente di Apple punta giustamente ad evidenziare il fatto che i dati della salute gestiti dallo smartphone debbano essere considerati come dati sensibili (e lo sono) e dunque essenzialmente privati.
E siamo d’accordo.
Io però che uso Samsung Health sul buon vecchio Galaxy M31 invece che il suo software su un suo iPhone, non penso per questo di diffondere i miei dati urbi et orbi (a meno di smentite, certo). Dunque sarebbe forse meglio, per un gigante come Apple, puntare sulle qualità del suo software invece che seminare inquietudini ingiustificate, seppure in modo originale.
Dobbiamo andare verso un mondo coeso in cui la tecnologia non ci spaventa, perché la conosciamo sempre di più ed entra a far parte delle nostre vite, senza per questo dominarle o condizionarle oltremisura.
Difficile, vero? Ma se la nostra intelligenza (come ci dice Federico Faggin) supera di molto quella artificiale, perché mai non dovremmo coltivare alte (e soprattutto umanissime) pretese?
Interessante la newsletter BBC Science Focus (in inglese), perché arriva proprio all’ora di pranzo (almeno per il nostro fuso orario) e in un formato snello e compatto, propone due o tre articoli legati alla ricerca scientifica e ai risultati più intriganti e che possono destare curiosità.
Basta una moderata conoscenza della lingua inglese (o l’uso di un traduttore) e la fruizione può regalare qualche minuto prezioso per distogliere la mente dalle occupazioni della giornata, senza dare quella spiacevole sensazione di perdita di tempo, che può prendere durante lo scorrimento verticale (per dirla con Samuele Bersani) dei post nel social a cui siamo più affezionati.
Apprezzo che ogni tanto vengano anche presentati dei prodotti. Oggi è il turno di Samsung S23 Ultra, un telefono decisamente di fascia alta, e molto costoso. Specifico che io sono particolarmente affezionato ai prodotti Samsung (questo laptop da cui sto scrivendo, il mio orologio, il mio telefono e un tablet sono tutti della marca coreana), tuttavia – e lo metto come spunto di riflessione, che raramente si trova nelle recensioni – non posso che fare mio quanto appare nella prima parte dell’articolo (tradotto al volo grazie a Vivaldi translate) :
.. il Samsung Galaxy S23 Ultra è eccessivamente costoso, chiedendo gentilmente di sborsare un minimo (sì, minimo) di £ 1249. Quindi questo lascia una grande domanda: può uno smartphone veramente valere così tanti soldi, e per coloro che sono pronti e disposti a perdere i risparmi di una vita per il proprio smartphone, il Samsung Galaxy S23 Ultra fa al caso tuo? Abbiamo trascorso un po ‘di tempo con il dispositivo per scoprirlo…
Se il prezzo in sterline vi lascia (come a me) un po’ interdetti e dubbiosi, specifico che su Amazon si trova al momento a 1160 Euro. La domanda (che vale parimenti per i nuovi iPhone e per gli Android top) rimane la stessa: è ragionevole investire così tanti soldi per uno smartphone?
Sì in pratica mi pare senza luce, e per quel che costa non mi pare poco. Senza luce quando è spento, quando non lo usi. Cioè, schermo nero. Voi direte, ma è normale, no? Fino ad un certo punto, normale fino ad un certo punto.
Perché anche molti telefoni di fascia più bassa (sì, sto pensando anche al mio Samsung Galaxy M31) hanno un always on display che ti mostra delle informazioni di base (ad esempio ora, lista di app che hanno notifiche, carica batteria) anche quando non lo stai utilizzando. Quando è appoggiato lì, sul tavolo. Gli butti un’occhiata, e ti dice qualcosa. Comodo, senz’altro. C’è una cosa simile ma solo per la versione Pro oppure Pro Max (prezzi sopra i 1300 Euro per il primo, sopra i 1400 per il secondo).
D’accordo, se sei fuori a vedere le stelle, va bene. Altrimenti, magari ti piacerebbe che lo schermo, anche se non manipolato, ti dicesse qualcosa.
Un’altra cosa che non mi garba è che non lo carichi con la USB-C, come quasi tutto il resto del mondo ormai. Cioè se stacchi il Kindle, o il tablet, e attacchi il tuo bel nuovo iPhone, devi cambiare cavo. Questo sembra una stupidata ma nella vita pratica ti secca, ti secca proprio. Magari sei lì la notte che traffichi sul comodino, vuoi un modo semplice per mettere in carica il telefono, e invece no, il cavo che avevi già attaccato non va bene, ti devi alzare e prenderne un’altro. Poi dove l’avrò messo il cavetto dell’iPhone?
Le applicazioni per l’attività fisica mi affascinano. Anche, le rispetto profondamente. Hanno un compito difficilissimo, infatti, degno di vera stima: detto in poche parole, rendere gradevole la fatica,
Sì, lo sappiamo bene che le motivazioni per fare attività sportiva, sulla carta non dovrebbero mancare. Anzi, non mancano proprio. I benefici (anche psicologici) dell’attività fisica, regolare e misurata (senza colpi di testa, ma sintonizzata sul proprio corpo, peso, età, grado di allenamento e così via), sono indubbi e accertati. Però c’è sempre in agguato quella strana pigrizia, quella paura della fatica (anche moderata), quella nostra tendenza a rimandare, per la quale il giorno perfetto per iniziare una attività fisica regolare è sempre domani… Insomma ogni scusa è buona, lo sappiamo bene.
D’accordo, non sono io. Ma è meglio, fidatevi…
E allora, ogni motivazione è altrettanto buona. E’ utilissima, anzi. Per me una buona strategia motivante è quella che lega l’attività sportiva alla passione per la tecnologia, a quella parte di me che gradisce analizzare tabulati e confrontare statistiche, macinare percentuali (esiste, esiste anche in voi, non vi preoccupate). Così fare anche appena una mezz’ora di camminata veloce, o di bicicletta (dosi omeopatiche, direte voi, ma considerate che così nessuno può sentirsi inferiore al sottoscritto…), è più gradevole se c’è qualcuno, o qualcosa, che registra le mie velocità, la frequenza cardiaca, il tracciato. Insomma qualcosa che mi posso portare a casa, dopo.
Le applicazioni per telefono o smartwatch non mancano, e non è che qui ne faccio un elenco, no no. Io ne ho provate un po’ in passato, Runtastic, oppure Endomondo, e qualcun altra ancora. Da un po’ mi trovo bene con Samsung Health. La cosa bellissima se poi si possiede un Gear Fit 2 (io ne sono felice possessore appunto), è che in pratica non devi più scegliere e confrontare le varie app, perché il tuo smartwatch capita che funziona praticamente solo con questa.
E non è male. Perché secondo me Samsung Health è piuttosto ben fatta, piuttosto completa, piuttosto simpatica da utilizzare. Poi è gratis, nessun abbonamento rognoso da fare. E non ha pubblicità, almeno sui dispositivi Samsung (non così mi pare se si installa su altri telefonini, ma potrei sbagliare). L’orologio parla con il telefono (subito o dopo l’allenamento) e gli passa i miei dati. Io sono contento di fare una piccola fatica se posso mettermi in gara con altri o anche con cosa io stesso ho fatto ieri, o la settimana scorsa, o l’anno scorso.
Il signor Samsung mi conosce, capisce bene che mi deve proprio motivare, e allora con le sue applicazioni mi fornisce anche dei premi. Oggi ne ho vinti ben tre, ma forse è perché è tipo la prima registrazione fatta con la bicicletta, e questo mi ha portato di botto a vincere la coppa per distanza più lunga, durata più lunga, ritmo migliore. Ho paura che la cosa non si ripeterà così facilmente nelle prossime occasioni, ma avrò modo di misurarmi con quanto ho combinato gli altri giorni.
Vincere è facile, se si parte da zero…!
Insomma bisogna che anche l’allenamento diventi un gioco. Il gioco è una cosa molto seria e impegna l’uomo in maniera molto profonda, superando gli strati di diffidenza e di cinismo, che ci portiamo sempre cuciti addosso. Facendoli svaporare, almeno un pochino, almeno per un pochino.
E così un po’ di motivazione viene recuperata. E iniziamo a sentire la bellezza del nostro corpo che si muove: che non ha prezzo.