Debian, l’italiano e l’intelligenza (artificiale)

Premetto che non sto per scrivere niente di esagerato sull’intelligenza artificiale, o almeno lo spero. Sono totalmente con Faggin quando avverte che c’è in essa, ben poco di “intelligente”. Sono marchingegni ben studiati, che possono indubbiamente essere utili (e di questo parlerò) ma niente di più (ed è già tantissimo).

E comunque – per una persona come me che ha visto Internet nascere (e arrivare negli istituti di ricerca prima ancora che la gente sapesse che c’era questa grossa cosa nuova), anzi che ha trascorso su questo pianeta molti anni prima che Internet vedesse la luce – osservare queste ultime evoluzioni è qualcosa che colpisce. Veramente stiamo entrando in un’altra epoca. E questo, non tanto perché abbiamo creato qualcosa dotato di una intelligenza propria, perché non assolutamente così (ancora, ascoltare Faggin per convincersi o leggersi il suo libro, Irriducibile). Quanto piuttosto, per la indubbia comodità di un nuovo strumento che diverrà – ci scommetto – sempre più parte della vita quotidiana. Fino ad apparirci indispensabile, se per alcuni non lo è già.

Tutto comincia con la posta (come sovente accade)

Collettivamente, siamo in un periodo di riflessione profonda sui vantaggi e sui problemi dell’intelligenza artificiale. E non potrebbe essere che così, in questa fase. Tra un poco la useremo e basta, dimenticandoci allegramente di tutto il contesto filosofico che ora è invece in primo piano. D’altronde accade sempre così, è successo con i lettori walkman1, con i primi videogiochi, con i telefoni cellulari, con la televisione a colori, praticamente con tutto.

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La missione (quasi) impossibile

Domenica pomeriggio ho visto Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno. Mi sono divertito, ho ammirato la costruzione di un’opera complicatissima, ho goduto in particolare delle scene girate in Italia (Roma e Venezia, con una fotografia splendida). E in due ore e tre quarti circa in un susseguirsi mozzafiato di scene di azione (mirabolanti), ho anche riflettuto.

Sì, perché questo film è spettacolarmente attuale. Attualissima è la percezione acuta di come l’intelligenza artificiale sia la vera cosa che genera ammirazione ed inquietudine, in pari misura. Sorprendente che la sceneggiatura sia stata scritta ormai anni fa, perché – almeno per l’Italia – è una fotografia esatta di un dibattito che sta avvenendo nel momento presente.

Mi viene da pensare all’incontro tra Federico Faggin e Marco Guzzi, nel quale molto si è ragionato sull’intelligenza artificiale (con dei punti di vista che a mio avviso rimarranno come riferimenti fermi in un dibattito che fermenta ogni giorno di più).

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Una mattinata memorabile

Davvero è stata una mattinata memorabile, una splendida occasione, per me, di imparare e di crescere. Una occasione anche, di rapporto (si cresce nei rapporti, mi dico). Che ci faccio io qui? Proprio io?

Si era capito subito. Fin dalle prime investigazioni, dai primi contatti, si era capito. Da quando si era generata l’idea, si era intravista una possibilità di realizzazione. Era stato un percorso lungo e da fare con pazienza. Sondare la disponibilità di Marco Guzzi (filososo, poeta, saggista, ideatore dei gruppi Darsi Pace), iniziare ad esplorare strade per contattare Federico Faggin (fisico, inventore del microprocessore, imprenditore di successo, sostenitore di una nuova teoria della coscienza).

Dobbiamo temere l’intelligenza artificiale? O solo imparare ad usarla bene? Di questo anche, si è parlato…

Il tempo diventava sempre più propizio. L’intelligenza artificiale diventava oggetto di dialogo quotidiano, arrivava sui giornali e in televisione. Tra lodi sperticate e demonizzazioni impaurite, come recuperare un punto di vista ragionevole e fondato? L’occasione di dialogare con Guzzi e Faggin su questo era troppo ghiotta. Era anzi necessaria, da un certo punto di vista. 

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