Archivio dell'autore: Marco Castellani

Informazioni su Marco Castellani

Marco Castellani, astronomo, divulgatore, scrittore

Appena una parte del tutto

Già dal titolo, i/o il nuovo disco di Peter Gabriel, di cui ho parlato anche su Edu INAF, si caratterizza per una attenzione specifica al mondo dell’informatica.

Con i/o si intende infatti (ci insegna wikipedia) una interfaccia messa a disposizione da un sistema operativo ad un programma, per effettuare un passaggio di segnale. Input/output letteralmente entrata/uscita e su questo è giocato tutto il testo del pezzo omonimo (peraltro, meraviglioso da tutti i punti di vista, soprattutto nella versione Bright Side Mix).

Sono parte di ogni cosa
Sto su due gambe e imparo a cantare
Non importa ciò che già è stato detto
Non interessa ciò che già ho ascoltato
Cammino con il mio cane e fischietto con un uccello

Questa meravigliosa canzone è un inno fiducioso alla non separazione, c’è continuamente qualcosa che entra e qualcosa che esce, siamo in comunicazione costante con il mondo fuori di noi, non siamo isolati, non siamo staccati, separati. C’è da imparare tutto di nuovo

Imparo come un bimbo, imparo come un seme
Diffondo le mie protuberanze ovunque serva
Trovo un modo per agganciarmi e connettermi
E scorro come acqua, nessuna causa o effetto

Un testo che è semplice appena ad una prima lettura, in realtà è profondissimo. Nessuna causa o effetto è essere svincolati dal mondo ferreo della necessità, in vista di una libertà più ampia. Così ampia che magari ancora non la vediamo, ancora non ci crediamo davvero. Dipende proprio da come pensiamo il cosmo, e noi in esso.

Il cosmo non è una semplice collezione di oggetti discreti, ma una rete di sottili relazioni intrecciate. (Leonardo Boff & Mark Hathaway, Il Tao della liberazione)

Insomma, un testo (e una musica) che è bello ascoltare di tanto in tanto, godersi la freschezza di ispirazione di questo giovane Gabriel ultrasettantenne. Che ci insegna che siamo in connessione con tutto, se solo lo vogliamo, se ci pensiamo così.

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Cercando il client perfetto (e incontrando Vivaldi)

D’accordo, la posta elettronica – come concetto – è veramente una cosa vecchia. In effetti il sottoscritto (che di suo, non vanta una particolare perspicacia tecnologica) già dieci anni fa sosteneva che la posta era vecchia. Figuriamoci se non è vero oggi.

C’è stato l’esperimento Google Wave, bello, frizzante, elettrizzante, aperto. Ben presto, bello che morto. Sostanzialmente, niente dopo di questo. Alla fine, si vede che il protocollo di posta elettronica ci va bene così.

Rimane la scelta del client, questo è un campo in cui invece non ci si è mai fermati. Tanto che oggi ci sono tantissimi ottimi programmi per gestire la posta elettronica, gratuiti o a pagamento.

Per quanto mi riguarda, quelli che ho frequentato di più negli ultimi tempi sono stati

  • Apple Mail. Ben realizzato, essenziale ma completo, in purostile Apple. Fai tutto quel che ti serve, anche qualcosa in più. Per chi è entro l’orizzonte dei prodotti con la mela, probabilmente la scelta più felice (senz’altro la più semplice).
  • Posta di Windows. Beh, insomma. Che posso dire. Colorato, questo sì. Sembra più una cosa da mettere in vetrina che da usare veramente. Funzionalità minime, garantito l’essenziale ma poco spazio (o anche meno) per tutto ciò che va oltre.

Allora niente, fino a non troppo tempo fa sul portatile (Galaxy Book Ion, con Windows come motore) usavo Posta e sull’iMac Apple Mail, però mi seccava un po’ avere programmi differenti (con tasti differenti, impostazioni differenti, modi differenti per fare la stessa cosa… insomma avete capito). Così cercavo qualcosa che fosse disponibile su tutte le piattaforme.

Una vista di Postbox, eccellente anche se non-sempre-intuitivo client di posta

Ad un certo punto della mia esplorazione, mi sono imbattuto in Postbox. Qui vi avverto, la cosa diventa complicata. Perché Postbox è veramente un client molto completo, fa davvero un sacco di cose, ma è anche – a mio avviso – sapientemente contorto, in molti casi.

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Adeguarsi allo standard

Certo c’è modo e modo, potremmo dire. Adeguarsi allo standard in certi casi pare esser qualcosa di difficile. Ognuno ha le sue ragioni, sicuramente. Se ne potrebbe parlare all’infinito: evitiamo.

Se non hai il cavetto “giusto”, vai piano piano…

La legislazione europea ha richiesto che gli iPhone e altri apparecchi di Apple si uniformino allo standard USB-C già adottato ampiamente nel mondo Android. Una cosa estremamente positiva, a mio modo di vedere. Una comodità incredibile, usare un solo cavetto per tutto (smartphone, tablet, lettore ebook, eccetera).

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Scrivi allo sviluppatore

Chissà perché, siamo abituati a pensare al mondo informatico come ad una offerta variegata di servizi da fruire, ma per i quali difficilmente si può intervenire come parti attive, influenzando o addirittura modellando gli sviluppi futuri. Come dire, l’offerta è ampia, ma si prende quel che c’è, piaccia o non piaccia. Forse è il modello neoliberista (un mondo al collasso, secondo la Carta della Nuova Umanità), che ci vuole consumatori passivi, forse altro. Forse la nostra pigrizia.

In questi giorni può capitare di leggere frasi tipo Twitter non mi piace, ma sono tutti lì quindi lo tengo. Ecco, forse iniziare tutti a cercare altro potrebbe dare uno scossone salutare. Ma chiudo parentesi.

Vengo al caso. Mi è capitato pochi giorni fa a riguardo dell’applicazione Wallpaper quotidiano per Bing, che porta anche sul desktop dell’iMac gli sfondi quotidiani (meravigliosi, di solito) scelti da Bing, un servizio che sui computer Windows (e sui dispositivi Android che usano Microsoft Launcher) è presente di default.

L’applicazione funziona bene ed anzi è stata una vera svolta, ho addirittura smesso di desiderare di lavorare sul portatile Windows (almeno un poco1) perché finalmente anche sull’iMac, come già sul telefono, ho la presentazione quotidiana di un nuovo sfondo, giorno per giorno.

Però, c’era un problemino.

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S23 Ultra, vale la pena?

Interessante la newsletter BBC Science Focus (in inglese), perché arriva proprio all’ora di pranzo (almeno per il nostro fuso orario) e in un formato snello e compatto, propone due o tre articoli legati alla ricerca scientifica e ai risultati più intriganti e che possono destare curiosità.

Basta una moderata conoscenza della lingua inglese (o l’uso di un traduttore) e la fruizione può regalare qualche minuto prezioso per distogliere la mente dalle occupazioni della giornata, senza dare quella spiacevole sensazione di perdita di tempo, che può prendere durante lo scorrimento verticale (per dirla con Samuele Bersani) dei post nel social a cui siamo più affezionati.

Fino a che punto ha senso investire su uno smartphone?

Apprezzo che ogni tanto vengano anche presentati dei prodotti. Oggi è il turno di Samsung S23 Ultra, un telefono decisamente di fascia alta, e molto costoso. Specifico che io sono particolarmente affezionato ai prodotti Samsung (questo laptop da cui sto scrivendo, il mio orologio, il mio telefono e un tablet sono tutti della marca coreana), tuttavia – e lo metto come spunto di riflessione, che raramente si trova nelle recensioni – non posso che fare mio quanto appare nella prima parte dell’articolo (tradotto al volo grazie a Vivaldi translate) :

 .. il Samsung Galaxy S23 Ultra è eccessivamente costoso, chiedendo gentilmente di sborsare un minimo (sì, minimo) di £ 1249. Quindi questo lascia una grande domanda: può uno smartphone veramente valere così tanti soldi, e per coloro che sono pronti e disposti a perdere i risparmi di una vita per il proprio smartphone, il Samsung Galaxy S23 Ultra fa al caso tuo? Abbiamo trascorso un po ‘di tempo con il dispositivo per scoprirlo…

Se il prezzo in sterline vi lascia (come a me) un po’ interdetti e dubbiosi, specifico che su Amazon si trova al momento a 1160 Euro. La domanda (che vale parimenti per i nuovi iPhone e per gli Android top) rimane la stessa: è ragionevole investire così tanti soldi per uno smartphone?

Io ho alcuni dubbi, in proposito.

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Crediti: NASA / Fred Deaton

I robot di dimensioni industriali costruiti dalle squadre delle scuole superiori competono l’uno contro l’altro in una partita a Rocket City Regional, prima competizione annuale di robotica dell’Alabama, in questa immagine del 16 marzo 2018. Quest’anno, si sfideranno oltre 1.000 studenti delle scuole superiori su 50 squadre di 15 stati, Messico e Brasile.

La NASA sovvenziona questa bella iniziativa dove la creatività intreccia la tecnica, allontanando la percezione di estraneità che quest’ultima a volte ci comunica. Il segreto, come sempre, è investire in passione e gioco, in modo che il fattore umano entri nella miscela, rendendola davvero interessante.

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