Le faccio un misto? Grazie, no.

Crescendo, cambio. Credo capiti a tutti. A me capita per certo. Anche nelle scelte che potremmo dire più spicciole, registro un cambiamento di attitudini. Non solo davanti ai grandi temi della vita, mi sento un po’ diverso rispetto a prima. Ad esempio, se considero il mio rapporto con la tecnologia, noto alcune differenze sensibili, rispetto anche a poco tempo fa.

Credo che se uno cambia, cambia un po’ in tutto. Vuole fare tutto in modo nuovo, esplora diverse possibilità, si fa domande che prima non si faceva, sulle cose che utilizza, sul modo in cui lo fa. Questo, è il modo migliore per me, adesso? Forse sono stanco delle mie modalità ormai supercollaudate di fare le cose, e desidero forse provare altro?

Io lavoro da diverso tempo in ambiente misto, ovvero uso un iMac (uno a casa e uno al lavoro), ho un portatile Windows, ho un Chromebook. Come sistema operativo mobile (smartphone e tablet) uso dispositivi Android. Questa varietà è stata una scelta deliberata, del mio me stesso di qualche tempo fa.

Da curioso della tecnologia, l’idea era di mettere il naso in tanti framework diversi, per imparare qualcosa da ognuno. Perché mai togliersi il piacere di studiare Windows 11, come pure investigare in profondità macOS Sonoma? Basta utilizzare strumenti con Windows assieme a dispositivi Apple, ecco lì che il gioco è fatto. Si prende il meglio di tutti e due gli ambienti. A questo poi associamo quanto sarebbe divertente esplorare ChromeOS, il sistema operativo di Google, perché no? Sempre tutto intrigante. Eppure.

Eppure? C’è questo, che niente viene gratis (no, alla fine non è vero, ma la frase ci stava bene). Perché uno scopre che tutta questa esposizione alla varietà viene necessariamente a scapito della profondità. E questo è un problema, tanto più quanto i sistemi operativi si fanno articolati e complessi.

In altre parole, lascia stare il fatto che tutti sanno usare Windows nella maniera “basica”. Lanciare un programma, perfino istallarlo, è piuttosto facile (averlo reso facile e disponibile alle masse è un grande merito del sistema operativo di Microsoft). Lo stesso anche per il Mac (e ormai anche per Linux, anche se lì rimangono ampie possibilità, volendo, di complicarsi la vita oppure, diciamo, di rendersela più interessante). Lascia stare questo, questo infatti è assodato. Ma se vuoi usare il sistema al meglio, ti tocca imparare una serie di scorciatoie, combinazione di tasti per arrivare rapidamente ad un risultato, automazioni, e via di questo passo. Per gestire bene molte applicazioni allo stesso tempo, devi padroneggiare il sistema a finestre che ti trovi davanti. E non sono mica tutti uguali, i sistemi a finestre. Certe combinazioni per massimizzare la finestra, minimizzarla, affiancarla alle altre in quel determinato desktop virtuale, sono uniche del tal sistema operativo. Se vuoi essere veloce ed efficiente nel tuo lavoro, devi impararle.

Poi le applicazioni. Non tutte le applicazioni esistono per tutti i sistemi operativi, dunque magari succede che ti abitui ad un certo flusso di lavoro (tipo cosa uso per portare a termine cosa) e poi ti sposti nell’altro ambiente – passando magari dal fisso al portatile e scopri che una delle applicazioni che usavi dove sei partito, qui non c’è. Certo la suite Office esiste su Windows e su Mac, siamo d’accordo. Ma se voglio usare (anche) altro? Metto tutti i miei testi (che vanno solitamente su Stardust e EduINAF) su Ulysses? Ma su Windows non c’è. E nemmeno su Android. Uso Paint per elaborare rapidamente una immagine, magari con l’aiuto della famosa Intelligenza Artificiale (certo, per quel che vale)? Va bene, ma considera pure che sul Mac non c’è.

Edito un video con iMovie? E se voglio finire il lavoro sul portatile? Ah no, lì non c’è iMovie, lì trovo Climpchamp.

Oppure (e non è detto affatto che sia meglio), l’applicazione esiste, ma è diversa. Cioè, è lei ma non è lei. Un caso eclatante è iA Writer, l’applicazione con la quale scrivo praticamente tutti i post (e anche altro, come poesie e racconti, o come un romanzo). Esiste sul Mac e c’è per Windows, ma le applicazioni sono significativamente differenti. Puoi fare cose da una parte, che dall’altra non puoi fare. Del tipo, vuoi cercare del testo tra tutti i tuoi files dell’archivio? Lo puoi fare dal Mac, non dal PC Windows. Vuoi un indice autogenerato che si possa fruire già dall’anteprima del file, visibile nella libreria? Su Windows c’è, sul Mac invece no.

Già tutto questo mi porta a pensare che, abbandonate le passate velleità di conoscenza enciclopedica, in futuro puntare su una certa omogeneità di ambiente potrebbe essere una gran buona idea.

Ma la faccenda si fa decisamente più pregnante quando si prendono in considerazione anche i sistemi mobili. Quando è iniziato questo blog, la cosa tutto sommato non era così importante. Adesso, con il moltiplicarsi di applicazioni mobili per cui diverso lavoro si può svolgere da smartphone, è diventato importante che computer e smartphone si parlino efficacemente. Ma questo (state tranquilli) sarà oggetto di una mia prossima ruminazione.

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iA Writer, scrivere fatto semplice

Scrivere senza distrazioni è probabilmente la frase più usata (ed abusata) per il software di scrittura al computer. Visto che il minimalismo va ancora abbastanza di moda, è sempre un lancio elegante ed efficace. Però questa volta direi che l’appellativo risulta abbastanza azzeccato.
iA Writer è la mia attuale opzione per quanto riguarda la scrittura creativa (racconti, poesie), per una serie di ragioni che accennerò in parte, se vorrete seguirmi.
Bisogna dire subito, è multipiattaforma. Esiste per OS X, iOS, Android e — tra pochissimo — anche per Windows. Dunque puoi veramente portare il tuo lavoro dappertutto, qualsiasi computer o tablet o telefonino tu stia portandoti appresso in un dato momento. Puoi iniziare con il MacBook, per dire, poi spostarti sul tablet e quando sei fuori casa, dare una ritoccatina alla tua opera usando lo smartphone.
Nella ricerca di ambienti adeguati di scrittura, ho fatto un viaggio abbastanza articolato, che è partito — tralasciando ora la preistoria — dall’infatuazione per Scrivener (sul quale ho compiuto tutta la lunga opera di revisione del romanzo Il ritorno), per muoversi poi su Ulysses, ed approdare infine a iA Writer. Provato quasi per caso, poi piano piano è maturato l’interesse e direi quasi la passione. Certo il passaggio da Ulysses a iA Writer — in particolare — non è stato facilissimo, perché abbandonare un ottimo software, con delle eccellenti caratteristiche, non è mai facile. Eppure l’esigenza di poter avere accesso alle mie cose anche sui dispositivi mobili Android, alla fine ha prevalso.
In questo, la scelta di Ulysses di passare ad un modello di business che prevede un abbonamento mensile, in luogo dell’acquisto del software, ha dato anche lui una mano, lo devo ammettere. Senza entrare adesso in accurate disanime dei vari modelli per finanziare uno sviluppo di software, direi solo, in questa sede, che non è un modello a cui io sia particolarmente affezionato. Ho già troppi abbonamenti (Netflix, Spotify…) per accollarmene un altro a cuor leggero.
Ed eccoci. Da diversi mesi uso iA Writer sia per la prosa che per le poesie. Certo, c’è da abituarsi al fatto che si deve lavorare in Markdown, che per i più — magari abituati a Word — può essere un attimino spiazzante. Eppure dopo un pochino ti ci abitui, e anzi inizi ad apprezzare il vantaggio indiscutibile di lavorare con file di puro testo, essenzialmente l’unico formato che rimane leggibile in un tempo abbastanza lungo (fatte salve le iscrizioni rupestri).
Il racconto Venti Passi su iA Writer, (a sinistra in formato Markdown, a destra il rendering)

Nel Markdown la formattazione è tenuta al minimo (l’idea è che pensi a quello che devi scrivere e rimandi gli abbellimenti per dopo), ed è integrata nel testo ASCII. Così se parti per la Luna un anno o due e poi torni, non è apri l’ultimo Word e scopri che i tuoi files non sono più leggibili. In linea di principio, un qualsiasi stupido editor di testo, te li presenta in formato leggibile.


Ok, vai. Se devi, vai… Ma hai salvato tutto in Markdown, prima di partire?

La qual cosa, mi piace.
E del resto, anche Ulysses sposava già la stessa filosofia. Avendo già sofferto il cambiamento all’uscita da Scrivener, ora soffro un po’ di meno.
La chiave di tutto — a mio modo di vederere-— è la possibilità di esportare in una ampia serie di formati: per terminare l’ultima parte di lavoro, dove sia necessario. Ad esempio, puoi esportare in formato Word e finire l’ultima revisione lì. Siamo pratici: è assai difficile che un editore — o una piattaforma di autopubblicazione — accolga i tuoi lavori redatti in uno splendido Markdown. Ti chiederanno piuttosto un “bel” file Word, se non magari un PDF.
Ed ecco il trucco.
Tutto il backstage (il 99% del lavoro) lo fai in Markdown, e poi l’ultimo ritocco lo apponi esportando in Word e sistemando quelle due o tre cosette (impaginazione, caratteri, etc…) di cui in fase creativa potevi tranquillamente non occuparti.
iA Writer ha di suo diverse caratteristiche comode ed interessanti (e anche qualcosa in meno di Ulysses), ma è inutile che vi faccia perdere tempo elencandole tutte. Le trovate nella loro pagina web (come è normale che sia).
La cosa che più mi piace, e che mi fa affrontare e superare anche qualche asprezza ancora presente nel software (esempio, una qualche differenza nel rendering del Markdown quando si usi un ambiente OS X rispetto alle applicazioni Android), è però qualcosa di più immateriale, se possibile, del software medesimo.
Ed è l’attitudine. La scelta del focus, se volete. Facciamo sempre questi due esempi, che sono uguali ed opposti, tanto per capire. iA Writer punta ad essere disponibile su ogni piattaforma (no, a parte il VIC 20, che ora ha un segmento di mercato abbastanza ridotto). In soldoni: c’è per OS X, iOS, Android e — ormai ci siamo — per Windows. Ulysses, per parte sua, si indirizza esclusivamente (e/o elitariamente…) al mondo Apple (OS X e iOS).
iA Writer con il suo sbarco su Windows rende — grazie al cielo!— anche il mio Surface 4 un attrezzo adeguato al mio lavoro di scrittore (suona alquanto pomposo, lo so, ma in fondo come bisogna chiamare uno che scrive?). E spazza via i piccoli residui di incertezza che ancora potevo avere, in caso li avessi avuti (forse sì, non è certo).

Solo Apple oppure Apple e resto del mondo? Niente di male o di esecrabile in entrambi i casi, ma è ovvio che tale scelta di fatto si ritaglia una porzione di mercato e specifici utenti, già di per sé. Se io mi trovo bene con il mio mix OS X + Android + Windows (Surface 4, appunto), è ovvio che Ulysses non potrà essere la mia prima opzione. Più articolato è il caso di chi si muove già dentro un ecosistema tutto Apple, in quel caso potrà scegliere solamente in base alle caratteristiche e al modello di business.

Ah, da non dimenticare. Per lavorare ovunque è necessario e sufficiente che il lavoro sia memorizzato sul cloud, come si dice oggi. iA Writer mi permette di appoggiare i files su Dropbox (o Google Drive) in modo di poterci accedere da qualsiasi dispositivo, in qualsiasi momento. E anche di sentirsi un po’ meno preoccupato del crollo randomico di qualche unità a disco, proprio nel momento in cui stai per mettere l’ultima parola sul manoscritto sul quale hai faticato per un congruo numero di mesi.
E’ un progetto attivamente sviluppato, e alcune nuove caratteristiche che stanno per essere implementate, me lo rendono ancora più piacevole.

Per cui, niente, la mia scelta è questa adesso.

Ora scusate, dovrei andare a scrivere.

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OSX Mavericks, primissime impressioni

L’ho istallato stamattina: non potevo, proprio non potevo resistere. Ieri sera la piacevole sorpresa di scoprire che la nuova versione del sistema operativo Apple era disponibile da subito – ed inoltre era disponibile in forma gratuita. Di questi tempi anche risparmiare quella prevista trentina di euro non dispiace.
Il sistema che uso al lavoro, oggetto specifico dell’aggiornamento, è un iMac 21.5 pollici, “Metà 2011”; il processore è un 2,5 Ghz Intel Core i5. Come previsto, l’aggiornamento è facilissimo, si effettua dallo Store come il download di un qualsiasi programma: poi, fa tutto lui. Voi dovete solo aspettare. Una volta scaricato è partita la procedura di istallazione: attenzione che ci mette il suo tempo (a me ha impiegato più o meno tre quarti d’ora) e soprattutto, una volta lanciata non prevede la possibilità di interruzione. Dunque da non fare nel momento di massimo carico di lavoro, o nell’imminenza di quella presentazione importante, o vi trovate sul più bello “chiusi fuori” dal vostro Mac! 
Nel mio caso, la lettura di un libro di programmazione in PHP ha utilmente riempito i minuti di attesa (ma voi potete fare qualsiasi cosa non sia considerata troppo riprovevole e/o pericolosa e occupi il tempo giusto…), mi sono trovato di fronte al nuovo sistema operativo. Mi è stato chiesto se voglio usare il nuovo portachiavi e ho dovuto come di prammatica inserire la mia password per l’account Apple. Dopodiché sono arrivato nell’ambiente di lavoro
Schermata d’obbligo! Qualche libro, una mappa aperta… 
Ad una prima occhiata… è tutto come prima. Il che è una buona cosa: diffido delle rivoluzioni troppo radicali, in questo ambito. Le sorprese però non mancano. Iniziano quando ti trovi le nuove icone delle Mappe e di iBook simpaticamente aggiunte al Dock. Tutto ok per le mappe, ma sopratutto mi interessava vedere come si comportava il programma per leggere i libri, una cosa che attendevo da tempo. Dunque, la prima impressione è buona – anzi ottima. Si possono aprire più libri simultaneamente (cosa che l’applicazione Kindle non permette di fare) e la leggibilità è encomiabile. Ovviamente tutti i segnalibri e le evindenziature già apportate durante la lettura del testo da altri device sono debitamente presenti. Neanche a dirlo, c’è il link allo Store per procedere all’acquisto di altri ebook, da aggiungere immediatamente alla libreria. E finalmente, da leggere subito… quasi come si avesse un iPad 😉
L’altra cosa assai piacevole oltreché evidente, è costituita dal Finder, il quale presenta finalmente un comodo sistema di linguette (alla stregua di tutti i comuni browser, per capirci). E’ una cosa che trovo molto comoda nell’uso quotidiano. La novità davvero intrigante è comunque il nuovissimo sistema di tag associabile ai file: è qualcosa di più di un ennesimo ritocco del sistema ma va ad incidere direttamente su come si concepisce e si utilizza un filesystem (oltreché, già presente nelle attuali incarnazioni di filesystem sul cloud come ad esempio Google Drive). Sono veramente contento che sia stato implementato, e non ho notizia di altri sistemi operativi che al momento supportino tale sistema. Un bravo ad Apple per questo! 
Ci sono mille altre cose, che ancora devo esplorare (perdonate, ma per come sono fatto, dovevo scriverne subito); al proposito, il riferimento d’obbligo è alla ottima pagina di Apple predisposta per l’occasione. 
Sul lato negativo, ho patito per un po’ di tempo qualche rallentamento nella gestione del Mac, credo legato alla attività di indicizzazione dei file lanciata automaticamente dopo il riavvio (è anche comparso un box di avviso che mi anticipava un parziale degradamento di prestazioni, puntualmente verificatosi). Inoltre per qualche motivo Safari mi è crashato già due volte: ragione di più per tornare – dopo averlo provato – al mio browser che per ora rimane il preferito, ovvero Google Chrome 🙂
E voi? Avete già aggiornato? Come vi siete trovati? Se state girando con Mavericks, lasciate un commento con le vostre impressioni, sarà molto apprezzato!

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Linux a casa? Non è il caso…

Un post sul blog pclinuxos2007 ha destato il mio particolare interesse, in chiusura dello scorso anno. Al di là infatti dei diversi proclami, che si sono spesso susseguiti, sul fatto che si fosse in procinto di ottenere una larga diffusione per linux, l’autore dell’articolo esordisce esprimendo la sua gratitudine per fatto che nessuno abbia ancora dichiarato “il 2012 sarà l’anno di linux sul desktop”.
Sano realismo, nella mia umile opinione.
Ora, chi scrive è antico abbastanza da averne viste, di dichiarazioni simili. Ho usato linux, se non erro, dal lontano 1996 (e ancora lo uso). Ne ho viste e ne ho provate, di distribuzioni. Ne ho caricati, di aggiornamenti. E ne ho letti, di post linuxiani, di riviste. Quasi ci siamo, il 20xx sarà l’anno di linux sul desktop. Non era infrequente leggere dichiarazioni entusiastiche di questo tipo, in chiusura dell’anno 20xx-1. Ebbene, concordo con l’autore del post. Questo possiamo dire che certamente non è avvenuto, e probabilmente non avverrà (mia opinione personale, beninteso). Malgrado linux abbia fatto passi da gigante, in pochi anni.

Il comodo sistema di “lenti” di Ubuntu (alla Mac OS X)
(Crediti: Ubuntu website)

Intendiamoci, linux è fantastico perché è libero, è configurabile senza limiti (e questo a volte è però anche un… limite), può essere istallato quasi dappertutto (non provate con il gatto di casa, però). Gira sui server di Google, dunque possiamo dire con buona approssimazione che Internet si basa su di esso, in larga parte. Vi sono tonnellate di smartphone Android in circolazione. Ovvero dispositivi che fanno girare una versione appositamente modificata del kernel linux. 


D’accordo.
Tuttavia la base di utenti desktop è ferma intorno all’uno per cento, a quanto leggo.

Se devo parlare delle mia esperienza di questi anni, nell’ambito della comunità scientifica (che mi è particolarmente familiare per il mio lavoro di astronomo) posso dire di aver visto intorno a me una descrescita netta delle macchine e dei portatili con linux, non una crescita. Windows, soprattutto con Vista, era stato un fiasco. Non ho visto molti ricercatori che lo usassero. Anzi. 
Vista probabilmente sta alla Microsoft come la Duna sta alla FIAT, se capite cosa intendo.
Tuttavia mi sento di dire che linux ha perso l’occasione offerta da Vista e dai suoi numerosi problemi. 
Penso agli ultimi anni. Più passava il tempo, più vedevo intorno a me un nuovo tipo di computer. Era quasi Unix, ma non era linux. Funzionava subito e dicevano che funzionasse bene. Sempre più colleghi lo adottavano. Richiedeva poco apprendimento, per chi era abituato a linux. Il software scientifico non mancava, via porting o – man mano – proprio nativo per la piattaforma.
Sì, parliamo di Mac OS X. Se guardo intorno a me, e penso alla situazione degli ultimi anni, devo dire che ha vinto lui. Prima un ricercatore con un MacBook veniva guardato con curiosità; si osservava come fosse una eccentricità, una stranezza. Ora è lo standard. Nelle varie riunioni alle quali ho l’onere e l’onore di prendere parte, la quantità di MacBook è sempre molto elevata (non sono infrequenti casi di maggioranza bulgara).
Ora, mi rendo ben conto che questo è un “ecosistema ristretto”, gli astronomi non sono la maggioranza della popolazione (per fortuna o purtroppo, su questo si può disquisire a lungo). Però è un segnale.
A pelle, lasciatemelo dire, ho la sensazione che linux abbia perso la partita. O meglio, l’abbia vinta in ambiti dove prima nemmeno si pensava si giocasse:  penso al settore degli smartphone ed anche dei tablet.  Nel mio Xperia Ray batte un cuore Android, cioè Linux. Se guardo nelle impostazioni, trovo una Versione kernel 2.6.32.9.etc…  E Android è adesso il sistema più diffuso per gli smartphone.
Le cose cambiano, quasi niente rimane come prima.

Questo nonostante molte cose. Linux (luogo comune forse, ma con un fondo di verità) ha sofferto della amplissima frammentazione; gli sforzi si sono allargati in una miriade di distribuzioni, spesso – diciamolo – diverse in minima parte (o costruite una sull’altra con variazioni non sempre di grande impatto). Poche con idee veramente innovative. 

Sono molto affezionato a linux, e dirlo un pò mi dispiace. Ma lo dico, sperando di essere smentito…
Questo, ovviamente, se si pensa alle percentuali. Va anche detto, il vantaggio di buttar dentro un disco di Ubuntu e rimettere in attività un computer ancora decente ma con un vecchio Windows malfunzionante, ritrovarsi a costo zero un sistema operativo moderno (un pò alla Mac OS X, ma per me va bene), dove lo vogliamo mettere?

Ma gli anni passati a discutere della imminente vittoria di linux sul desktop mi sembrano, appunto, passati.

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Se il leone ruggisce (male)…

La celebre canzone recitava Il coccodrillo come fa… In questo contesto mi viene piuttosto da pensare Ma questo leone come fa… ruggisce? O ha il raffreddore?

Infatti l’ultimo aggiornamento di Mac OS X, nome in codice Lion, ha portato una serie di interessanti novità (debitamente raccontate sul sito di Apple), epperò ha pensato bene di introdurre – perlomeno per molti utenti –  una serie di fastidiosi problemini (o problemoni), decisamente insoliti e non troppo nello stile Mac. 

Sono sbarcato su Mac OS X nel dicembre del 2008, con un MacBook da 13” che uso tuttora con buona soddisfazione. Utente Linux da molto tempo, ero abbastanza diffidente verso il sistema Mac (anche per motivi ideologici, diciamo la verità); la spinta al (parziale) salto è stata data da motivi di compatibilità con il resto del team che lavora (qui a Roma) nel progetto GAIA di ESA. Tuttavia con il tempo ho dovuto ancheprendere atto – quasi mio malgrado – che lavorare entro l’ecosistema Mac ha i suoi vantaggi. 
Mi sono anche abituato ad avere un sistema che funziona senza storie, senza dover per questo immettere astruse stringhe a linea di comando, e nel quale batte un solido cuore Unix. Ottimo per l’attività desktop, con potenti strumenti per lo sviluppo, solido e affidabile nell’utilizzo. Così pure passare da Leopard a Snow Leopard è stato semplice e deliziosamente lineare (a parte il fatto di dover pagare l’aggiornamento, com’è ovvio)
Così non è stato per il passaggio dal leopardo della neve al leone. Pur apprezzando il prezzo irrisorio dell’aggiornamento (per confronto, non so se qualcuno si ricorda i prezzi di listino di prodotti “imbarazzanti” come Vista Ultimate, ad esempio…), pur apprezzando moltissimo le innovazioni desktop, come le nuove gesture, che ne fanno un sistema operativo davvero comodo, per la prima volta in ambito Mac, ho dovuto registrare una serie di problemi che affliggono il “sistema desktop più evoluto al mondo” (sic). E poi mi sono accorto che non sono affatto solo miei: basta dare uno sguardo ad uno dei tanti topic nel forum di Apple che riguardano Lion.

Un magnifico Leone bianco (Crediti: Stano Novak, CC BY 2.5)

Due sono le noie principali che ho individuato nel mio Mac: 

  • l’indicizzazione Spotlight ora non riesce ad essere portata a termine (si avvia un processo decisamente avido di CPU, con conseguente ebollizione del portatile e ventola che gira all’impazzata, senza apparente via di uscita diversa dal killare il processo)
  • il disco esterno USB che uso “da sempre” per il backup via Time Machine, viene sì montato correttamente, ma il sistema non riesce più a produrre il backup.
Sono problemi – appunto – ampiamente condivisi, come ci si può accorgere girando un pò in rete. E probabilmente non sono i soli. Insomma, Huston abbiamo un problema. Più precisamente, Something is cleary wrong with Lion, come recita sconsolatamente un utente nel forum di Apple.
Decisamente. Rinunciare (ancorchè temporaneamente) ai backup di Time Machine e all’indicizzazione del disco rigido per Spotlight – due delle più comode caratteristiche di Mac OS, è seccante. E il primo aggiornamento non ha risolto nessuno dei due problemi.
Irritante.
Hanno avuto fretta con questo Leone? A parer mio, molte di queste cose si sarebbero potute risolvere con un “testing” molto più esteso del nuovo sistema operativo (e va anche detto che Apple ha vita facile per i test, perché la varietà dell’ hardware su cui deve girarare il suo sistema è molto circostritta e assolutamente controllata dalla stessa Apple.. pensate ad una distribuzione Linux, al confronto, ma anche una release di Windows…)
Ora non vorrei dire qualcosa di “ideologico”, ma ecco… davanti a questi problemi, non ho potuto non pensare al modello open source, per il quale le nuove release – poniamo – di Ubuntu, sono disponibili per l’intera comunità, che può sperimentare e segnalare bugs e problemi per tempo. Certo, anche lì poi possono venir fuori problemi “post rilascio”, non siamo ingenui. Va anche detto che fino a Lion il sistema sembrava funzionare egregiamente.
Epperò sono persuaso che qualche guaio del Leone, oso dirlo, potrebbe essere proprio dovuto al modello di sviluppo e al testing “chiuso”. Esagero?

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Punto critico

“Allora”, mi fa il collega, “forse riusciamo ad ottenere dei fondi per il progetto”
“Bene” (il che è vero)
“Potremmo prenderci due mini Mac, con i quali sostituire anche i desktop. Che ne pensi?”
Eccoci, sono vicino al punto di non ritorno. Ecco il momento critico. Da qui non si torna indietro. Sostituire il desktop con Ubuntu e passare 100% a Mac OS (dopo aver “ceduto” sul MacBook) ? Devo decidere, e devo decidere adesso.

Se passo lo so, lo so che non tornerò indietro. Allora, mi abituo  ad un ambiente omogeneo, però disimparo pian piano a muovermi dentro Ubuntu. Mi scordo di aspettare le nuove versioni, di verificare i progressi, le alpha, le beta, i forum, i siti di linux.  Insomma, nel complesso, dovrei mollare un gran divertimento. Che faccio? Mac OS funziona bene, molto bene, per carità. Non tutto mi piace del desktop di Mac, però funziona bene. Indubbiamente.

Perché usare Ubuntu (Credits: www.ubuntu.com)
Però – insisto – che faccio? Invece di divertirmi a seguire i progressi di Ubuntu passo passo, mi metto a scavare tra i siti che propagano i “rumors” (che più non si può, essendo un sistema chiuso) di cosa stanno facendo gli sviluppatori a Cupertino
Mmmmm…  
No.
Per ora, no.
“Beh guarda, a me serve ancora Ubuntu per quel progetto sugli ammassi globulari (è abbastanza vero, mi è stato consigliato, NdA), tutto sommato il desktop va ancora bene. Se ci sono dei fondi, potrei avanzare la richiesta per un tablet (non per forza un iPad) ottimo per leggere documenti ovunque. Tanto dovrei spendere anche meno”
“Ah, come vuoi. Va bene, allora.”
Per ora è andata. Questa volta, ho resistito. 

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Giada e il virus di Windows

Racconto a puntate, a sfondo informatico


Due giorni fermi. Due giorni interi. Senza più facebook, twitter, il blog. Nulla di nulla. Tutto per colpa di questo maledettissimo virus che le aveva infestato il computer. Vai a pensare che per scaricare da Internet quel programma di ritocco foto, avrebbe tirato dentro il computer qualche schifezza. E glielo avevano pure consigliato… Avrà seguito un link sbagliato? Uffa però. Ora aveva il computer sdraiato e non sapeva cosa fare.


Cioè una cosa sì. L’unica. Perlomeno, l’unica gratis. Chiamare Stefano.


“Ciao Giada, come va?”
“Beh insomma, così così. Sai, mi si è piantato il computer..:”
“Da solo?”
“Sì. Cioè.. insomma… non proprio da solo. Ecco, è arrivato un virus, mi sa…”
“E’ arrivato tutto da solo?” Che noia Stefano, ora glielo doveva dire.
“OK mi arrendo, Stefano. Ho fatto il pasticcio io, probabilmente. Ho scaricato un programma e quando l’ho istallato… ho provato ad istallarlo.. lui ha fatto il resto.”
“Il resto?”
“Ma sì, ora è tutto bloccato, e non va da nessuna parte, tranne in siti.. poco raccomandabili. Mi compaiono delle finestrine di questi siti dappertutto.”
“Interessante. Quali siti?”
“Dai non fare il cretino. Insomma poi da quando l’ho fatto riavviare, non parte più.”
“Va sui siti porno… o non parte? Non capisco”
“Stefano insomma, il tecnico sei tu! Comunque ora non parte più, uffa.”, sbottò Giada. Si poteva pretendere che una ragazza al primo anno di Lettere alla Sapienza sapesse di computer? Insomma ad ognuno il suo mestiere, no? Sapesse fare Stefano, che studiava ingegneria.
“Ho capito.”
“Che hai capito?”
“Passo dopo… fammi finire di studiare un pò di analisi due. Verso le cinque potrei essere lì, va bene?”
“Ecco va benissimo.” Finalmente l’aveva capito. Insomma, quanto ci vuole ad una ragazza per far fare ad un ragazzo quello che lei vuole, nell’epoca moderna? Pensava fosse più facile.



Arrivò alle cinque e due minuti. Puntualissimi questi ingegneri.
Aprì lei, la mamma era a fare la spesa ed il papà non era ancora tornato.


“Ciao Giada, ti vedo bene”

“Ciao Stefano, grazie.” Stefano era simpatico. Non se se sarebbe innamorato, no. Anche perché stava con Luisa che era amica sua. Non si fa. Chissà, in un’altra situazione, però…
“Bello questo maglione, non te l’avevo mai visto”
Però allora mi guarda, eh. Vabbè pensiamo al computer.
“Guarda un pò qui. Fermo, bloccato. Un ferrovecchio”
“Che aveva sopra?” chiese Stefano guardando il laptop con occhio clinico.
“Ci sta Windows, no? Come tutti”
“No, non come tutti….” puntualizzò Stefano guardandola severamente. Ecco, ora ricominciava, attenzione…
“Ok ci sono quelli con la mela, i… Mac”, si era ricordata, ce l’aveva anche Benedetta, la ragazza del piano di sotto, quella con i capelli lunghi lunghi.
“E niente altro?” incalzò Stefano.
“Sì no, volevo dire, a parte te e qualche altro esaltato che usa quel ufunto, ebunto…”
“Ubuntu. Si dice, Ubuntu. Ed è linux”
“Sì ok, quello che ti pare. Però adesso me lo puoi rimettere a posto?”
“Quale Windows c’è qui?”
Uffa quanto scocci, sarai pure abbastanza carino, ma scocci….
“Windows.. Vista, quello lì”.
“Ahi ahi ahi.”
“Come ahi ahi”
“Eh, quello che ho detto. Ahi ahi ahi.”
“Non va bene?” chiese Giada presentendo la risposta.
“Non direi proprio. Allora meglio XP”
“Insomma non lo so, è quello che stava sul computer. Che ne so io”
“Sei carina quando ti arrabbi, te lo hanno detto?”
Giada arrossì appena, girò la faccia. Uffa ora perché sono così sensibile, cavoli.
“Smetti di fare lo stupido. Me lo sistemi o no?”
Intanto Stefano aveva già iniziato a fare prove, accendeva, spegneva, metteva dischetti, attaccava chiavette usb. Aveva portato uno zainetto pieno di roba.
“No.” disse alla fine.


“No?”, si stupì Giada. Non era la risposta che avrebbe dovuto dare.

“No, è troppo tosto questo virus. Dovrei riformattare e perderesti tutti i dati”
“Come perdere i dati?  Cavoli, tutte le foto, tutta la musica scaricata?”
“Scaricata… legalmente…?” si informò Stefano.
“Ma che sei la finanza? Me lo rimetti a posto o no?”


Però i riccioletti neri sono carini, pensò.

Ma non devo farmi accorgere di questi pensieri, pensò poi.
Luisa è la mia migliore amica, pensò infine. Almeno per quel momento, il caso era chiuso.


“Dovresti prima salvare tutti i dati.”

“Bravo. Ma come faccio se non posso accendere Windows?”
“Windows non si accende. Non è mica un computer” Ecco, ora ricominciava…
“Ok ok, d’accordo. Ma come faccio insomma?”
“Un sistema ci sarebbe. Basta non partire con Windows. Hai presente Ubuntu?”


Giada lo guardò fisso negli occhi. Cosa stava per capitare al suo computer?


(1. continua)

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Tifo di squadra…?

Lavoro su piattaforma Mac OS X da molti mesi, ormai. All’inizio ero alquanto scettico e un pò prevenuto, venendo dal mondo Linux, dove vi ero soffermato per  molto molto tempo. Ho provato diverse distribuzioni, nell’arco degli anni… Mandrake, Suse, RedHat, Fedora… Ho assistito all’arrivo di Ubuntu, l’ho provata, ho cercato versioni leggere per il vecchio PC di casa, mi sono sistemato per un pò con Xubuntu. Ho testato PCLinuxOS e ho capito perchè fosse interessante, ho sperimentato con le distribuzioni “leggere” come la straordinaria Puppy Linux. Ho amato KDE e le sue molteplici configurazioni, ho apprezzato la semplicità di Gnome, ho sperimentato altri ambienti desktop.
Anche, ho partecipato – forse un pò faziosamente, ma la passione spesso non guasta – al tiro alla fune “Lascia Windows prendi Linux goditi la libertà vs. molla Linux non ci fai nulla usa Windows” che ha attraversato gli anni scorsi incendiando gli animi degli appassionati di informatica e sistemi operativi. 
Per una contigenza lavorativa – poco prima del Natale del 2008 – sono poi entrato in contatto con il mondo Mac OS X. Superata una diffidenza verso il nuovo ambiente, di cui sono stato afflitto in forma strisciante per diversi mesi, devo dire che al momento mi ci trovo proprio bene. Seguo comunque sempre gli sviluppi di Ubuntu perchè accanto al MacBook ho un desktop che uso con la versione aggiornata della popolare distribuzione linux. Mi piace verificare il diverso stato di maturità dei due ambienti.
Intendiamoci. Ubuntu è una sfida bellissima, colossale. L’unico sistema operativo completamente libero che abbia raggiunto una rilevante diffusione. Un linux (anche se non l’unico) con una attenzione particolare all’utente desktop e alle sue esigenze. Un sistema dove puoi mettere il naso dappertutto, vedere su web i bachi da risolvere, sperimentare quanto vuoi (scaricando le alpha e le beta) oppure rimanere più conservativi utilizzando le versioni “approvate” o perfino rimanendo sulle release “a lungo termine” per anni, aggiornando solo i pacchetti.
Ciò detto, il mio personale parere al momento è che debba fare ancora diversa strada. L’usabilità di alcuni programmi per Mac OS – oso dire – non ha ancora un pieno riscontro sotto linux. Un esempio banale è iTunes. Dopo un periodo iniziale di ambientamento, ormai lo uso con piena soddisfazione: alcune caratteristiche (come le smartlist molto sofisticate) non mi pare abbiano attualmente un corrispettivo su linux. Oltrechè, va detto, graficamente è davvero una chicca.
Per l’editor di testi, c’è il magnifico TextWrangler, gratis. Per uno che viene da gedit, è certo un salto in avanti considerevole. Per uno che sta tentando di completare il suo primo romanzo, poi, c’è il motivo fondamentale, la killer application costituita da Scrivener. Grandioso, putroppo in questo momento senza evidenti corrispettivi su linux.
Dimenticavo, gedit può anche girare nativamente sotto Mac OS.
Anche se non so se davvero serva…
(Crediti: gedit home page)
Potrei continuare, ma il punto è già chiaro. Certo sono anche preferenze personali (e su queste, come dice l’antico adagio, litigare è inutile). Mi permetto solo di registrare quanto il dibattito Win/Linux/Mac sia tuttora viziato da pregiudiziali che definirei “ideologiche”. Ad esempio, cercando un player audio per linux che supportasse un sistema di “playlist intelligenti” tipo quelle di iTunes, ho fatto qualche domanda in rete: il fatto ha provocato varie risposte, tra le quali notevoli quelle del tipo “piuttosto che usare iTunes preferisco fare a meno delle smartlist”. 
Pienamente legittimo, per carità. Però è quello che definirei una risposta un pò “ideologica”, se capite l’uso del termine. Una sorta di “tifo di squadra”, a volte bello e anche appassionante, che però a volte non tiene in adeguata considerazione i semplici fatti.
Naturalmente la realtà è complessa, molto più complessa di ogni schematizzazione. Vi sono diversi punti di contatto tra Mac OS e linux, tanto per dirne una. E questo non è poi strano, visto che si basano ambedue sul vecchio e blasonato sistema operativo unix. Sarà mica lui, dunque, il vero “vincitore nascosto”….?

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Perchè Ping non mi entusiasma…

Una certa enfasi ha accompagnato il recente rilascio di iTunes 10, anche per la contestuale introduzione da parte di Apple dei nuovi aspetto “sociali” legati alla musica, con il “quasi social network” chiamato Ping. L’ho provato per un paio di giorni, e benchè abbia degli aspetti interessanti, non posso dirmi esattamente esaltato. E’ certamente molto simpatico poter segnalare con un “mi piace” agli amici un album o un brano da iTunes. Tuttavia vi sono limitazioni anche abbastanza pesanti, perlopiù strutturali.

Proprio per queste ultime, Ping non è assolutamente definibile come un social network, e nemmeno vi si avvicina. Se da una parte infatti è simpatico poter dire “mi piace” quando si sfogliano gli album nello store di iTunes, questo ovviamente non è tutto.

Sì, perchè Ping è zoppo. Me ne sono accorto quando, ascoltando con iTunes 10 un album, legittimamente acquistato su emusic.com (scusa, Steve…), mi è istintivamente venuto il desiderio di dare un “like” da inviare al mio flusso Ping. Ebbene, per quanto sia frustrante, non si può. Sarebbe bastato un bottoncino, magari che linkasse l’analogo album su iTunes Store (non posso pretendere altre sorgenti di riferimento, da iTunes), ma niente. Nisba, nada.

La morale, devi fare i like dentro iTunes Store. Sarei così dovuto entrare nello store, cercare l’album e (se trovato) cliccare sul bottoncino “mi piace”. Seccante, perchè l’aspetto promozionale così accentuato azzoppa in maniera vistosa le potenzialità dell’idea. Mi è passata la voglia.

Un’altra cosa che potrebbe dare fastidio a taluni (tanto per dire, a chi usa linux, o già anche un player diverso da iTunes) è che il tutto “vive” dentro il software stesso. Ping è solo dentro iTunes, non esiste nel web “normale”. Non c’è nemmeno una “mappatura” in una pagina web, di quello che accade su Ping.

Ora consentitemi, ma con tutti che gli si vuole bene, al magico Steve… ma se la Microsoft avesse fatto una cosa simile, non si sarebbero levati ampi e articolati cori di protesta contro il modello “chiuso”, stigmatizzando la sfacciata operazione promozionale che si nasconde dietro questa “spruzzatina” di social network?

Peccato, perchè Ping ha tante potenzialità. A cominciare dal fatto che puoi seguire i vari “big” della musica, essere informato sui concerti e sugli eventi, e così via. Ma non tutti vivono dentro iTunes. E il web ha fatto tanto per rimanere indipendente dalle piattaforme specifiche (la “guerra fredda” tra gli standard del consorzio W3C e le istruzioni “particolari” di Explorer, ad esempio. Ricordate i siti che – tristemente – si vedevano bene solo con IE ?); e ormai siamo troppo scafati per farci imbrigliare dentro una piattaforma o un sistema operativo. Siano pur ottimi (come lo è iTunes, che uso, ed anche Mac OS, che uso)…

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Intarsi.. di disco rigido!

Questa immagine compare qui, in un blog di argomenti tecnici, ma potrebbe figurare benissimo in tutt’altro contesto, quale ad esempio una galleria di arte moderna. A volte tuttavia l’arte, o quello che ci può sembrare tale, viene “generata” in contesti del tutto inusuali. Non è infrequente trovare immagini “artistiche” ad esempio in ambito astronomico (e nel sito GruppoLocale.it tentiamo di renderne conto, quando ci capita di imbatterci in qualcosa di tal genere), ma è forse più raro trovare un output di un programma per computer, davvero artistico come quello prodotto da GrandPerspective per Mac. 

Come GrandPerspective vede una zona del disco rigido del mio MacBook. Ora devo solo scoprire a quali dati corrispondono tutti questi piccoli quadratini nella parte destra…. 😉
GrandPerspective genera una figura (zoomabile) che è una rappresentazione della grandezze e della natura dei files che si trovano sul proprio disco rigido. Arte a parte (scusate il bisticcio) è un modo molto rapido ed efficace per andare a “stanare” programmi e files magari non più utili che invece levano utile spazio per altre applicazioni… 
… il tutto, appunto, con una spiccata sensibilità artistica, che non guasta!

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