Certo che iA Writer…

Certo che iA Writer ha questo, che apri il programma e ti viene voglia di scrivere. Ancora non sai bene cosa scriverai, anzi non lo sai per nulla affatto. Però questa cosa è certa, ti va di scrivere. L’interfaccia linda e pulita è proprio un invito. Le lettere scorrono grandi dentro la finestra e il preview istantaneo ti dà un gusto particolare. Questo forse, chissà, è perché sei abituato ai codici che compilano, cioè a scrivere in un modo ed aspettarti che quello che scrivi venga modificato, interpretato in qualche modo.

Quindi anche se è un poco rozzo in tante parti gli si perdona molto, perché è molto simpatico per il resto. Poi il fatto che fa venire voglia di scrivere, davvero non ha prezzo.

Ho fatto l’abbonamento anche ad Ulysses perché mi attira molto con tutte le sue caratteristiche spaziali straordinarie, ma poi non so perché a scrivere torno sempre qui. Quasi sempre qui, voglio direi. Quindi non so, magari toglierò l’abbonamento tra un po’ di tempo, risparmiando qualche soldo. Tutto sta a vedere se riesco bene a proseguire il progetto del quaderno di Astronomia qui dentro iA Writer. Che poi è sempre il solito dilemma, Ulyssess esiste solo per il mondo Apple, e io nel mondo Apple ho appena un piedino, cioè ho mantenuto l’uso dell’iMac avendo sostituito il mio vecchio con quello equipaggiato con M1. Bel prodotto, non c’è che dire. Però in questo modo sono sempre a metà, un po’ su Apple un po’ su Windows (e un po’ su Android per tutto il resto), e quindi l’integrazione direi che manca. Abbastanza manca.

Quindi per dire, per tornare a noi, un programma come Ulysses che è pure tanto bello come caratteristiche (anche se fa venire meno voglia di scrivere come si è detto) poi non lo posso far funzionare sul portatile Windows (Galaxy Book Ion 15.6 i5) e tanto meno sul Chromebook Asus (Flip CX1400FKA), e dunque le cose scritte lì rimangono un po’ confinate.

Quindi sono così, un po’ di qua e un po’ di là, tanto che ci ho fatto pensate infinite sul fatto di passare ad Ulysses che però vorrebbe dire fare uno switch verso il mondo Apple piano piano, ma la cosa costerebbe una sbaraccata di soldi. Adesso ve lo spiego, come mi è venuto in mente: vorrebbe dire sostituire in prospettiva, il telefono (tra l’altro appena preso un ottimo A34 5G in sostituzione del glorioso M31) con un iPhone (costo circa mille euro), sempre in prospettiva, acquistare un iPad (e se ci mettiamo la tastiera e la penna, diciamo un altri mille euro per quello base) e a questo punto direi che ci vorrebbe anche un Apple Watch (vogliamo metterci un cinquecento e passa euro) e insomma tra accessori e custodie varie ed eventuali, arriveremmo sui tremila euro, spicciolo più spicciolo meno.

Il punto è – anche in prospettiva di qualche regalo, avvicinandosi al Natale – vale la pena? Saremmo veramente più felici dopo questa transizione gigante? Perché alla fine la faccenda è tutta qui, riguarda la felicità. In fondo i pubblicitari lo sanno bene, è questione di evocare il sentimento di compiutezza, di ordine, di leggerezza, che abbiamo tutti dentro. Sopìto, che aspetta. Ma che riceva ogni richiamo, lo sente, lo elabora. Rischia di correre dietro qualcosa che non è quella che risolve, rischia di spendere soldi in qualcosa che regala una felicità effimera, il frizzo di avere per le mani qualcosa di nuovo ma poi sei consegnato alla tua vita normale ordinaria sedimentata. Ed è lì che devi fare il trick, che devi inventarti qualcosa. Innestare il cambiamento, modificare i pensieri e i treni di pensieri e i pensieri automatici. Lì devi prendere il largo e partire per una nuova avventura. Ora, alla boa dei sessanta, partire per una nuova avventura. Che non vuol dire necessariamente mollare quel che hai (che è tanto, è tanto) ma iniziare a vedere tutto in modo diverso.

Sì, in modo diverso. Prima era una cosa facoltativa, una cosa eventuale, una cosa per chi ha voglia, ha tempo. Una cosa per chi ha particolare inclinazione, dedizione. Ora diventa una cosa urgente, essenziale, necessaria. Imprescindibile, indilazionabile.

E certo non basta un nuovo orologio al polso o un nuovo telefono nel taschino. Forse aiuta (per poco), sicuramente non basta.

La nostra rivoluzione deve essere molto più seria che comprare qualcosa. La nostra rivoluzione deve essere profonda e personale, deve essere veramente una vita nuova, che arriva. Un nuovo universo, che si fa presente. Ci vuole adesso.

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Pubblicato da Marco Castellani

Marco Castellani, astronomo, divulgatore, scrittore

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