Debian, l’italiano e l’intelligenza (artificiale)

Premetto che non sto per scrivere niente di esagerato sull’intelligenza artificiale, o almeno lo spero. Sono totalmente con Faggin quando avverte che c’è in essa, ben poco di “intelligente”. Sono marchingegni ben studiati, che possono indubbiamente essere utili (e di questo parlerò) ma niente di più (ed è già tantissimo).

E comunque – per una persona come me che ha visto Internet nascere (e arrivare negli istituti di ricerca prima ancora che la gente sapesse che c’era questa grossa cosa nuova), anzi che ha trascorso su questo pianeta molti anni prima che Internet vedesse la luce – osservare queste ultime evoluzioni è qualcosa che colpisce. Veramente stiamo entrando in un’altra epoca. E questo, non tanto perché abbiamo creato qualcosa dotato di una intelligenza propria, perché non assolutamente così (ancora, ascoltare Faggin per convincersi o leggersi il suo libro, Irriducibile). Quanto piuttosto, per la indubbia comodità di un nuovo strumento che diverrà – ci scommetto – sempre più parte della vita quotidiana. Fino ad apparirci indispensabile, se per alcuni non lo è già.

Tutto comincia con la posta (come sovente accade)

Collettivamente, siamo in un periodo di riflessione profonda sui vantaggi e sui problemi dell’intelligenza artificiale. E non potrebbe essere che così, in questa fase. Tra un poco la useremo e basta, dimenticandoci allegramente di tutto il contesto filosofico che ora è invece in primo piano. D’altronde accade sempre così, è successo con i lettori walkman1, con i primi videogiochi, con i telefoni cellulari, con la televisione a colori, praticamente con tutto.

Funziona così, da quanto capisco. Inizialmente la nuova tecnologia prende piede in un contesto di – più o meno giustificate – preoccupazioni (farà bene o farà male, sarà utile, ci faremo prendere la mano, è dannosa in qualche modo per la salute fisica o mentale…), dopodiché tali preoccupazioni lentamente svaporano e rimane la tecnologia stessa, e noi ad imparare come utilizzarla al meglio. Sarà dunque la prassi a farci capire il modo in cui questa tecnologia ci è utile, si mette al nostro servizio (e non viceversa).

Tanta ed articolata premessa, per parlare di un problemino tecnico che avevo nei giorni scorsi. E come accade spesso, tutto inizia con la posta elettronica. Mi spiego meglio. Essendo da qualche mese possessore di un simpatico Chromebook e cercando un client di posta elettronica comodo (non sono un fanatico della app di gmail fornita di default), mi sono rivolto al mondo linux. Ma che c’entra, diranno subito i miei due o tre lettori! E invece c’entra eccome. Per cui adesso apro questa piccola parentesi sui Chromebook (abbiate pazienza).

I Chromebook non ti permettono di istallare applicazioni Windows (o MacOS), come è noto. Puoi però istallare delle applicazioni web, sorta di pagine internet particolarmente sofisticate ed interattive, oppure le applicazioni mobili per cellulari e tablet Android, disponibili attraverso il Play Store di Google.

Oppure, ti rivolgi alle applicazioni linux. Eh già, perché i Chromebook hanno linux ad appena un clic di distanza dalla sua attivazione. Esiste cioè un ambiente linux bello pronto per te (e chi scrive possiede una antichissima esperienza nel mondo del pinguino, come questo blog può schiettamente testimoniare). Già, ti trovi a bordo una distro Debian bella e pronta, per istallarci quel che ti pare. Dunque applicazioni desktop vere e proprie, altroché. Mica pizza e fichi, insomma.

Allora mi si è accesa la classica lampadina nella testa, se voglio un client email vero e proprio devo installarlo sotto linux. Geniale, direte voi. O forse no, pazienza. Comunque, dopo una analisi più o meno accurata dei client email disponibili, mi volgo verso Thunderbird. E lo istallo sul Chromebook (il quale gentilmente ti fa istallare i programmi linux direttamente cliccandoci sopra: riconosce automaticamente che è linux, e manda il tutto alla scatolina riservata dove aspetta il tanto decantato sistema operativo libero).

Una volta installato però mi rendo conto che c’è qualcosa di strano. Le date ad esempio sono rovesciate: prima il mese e poi il giorno. Cheddé? Ecco, mi viene il dubbio. Il sistema è localizzato in inglese, vuoi vedere?

Ed infatti è così. Il sistema è localizzato in inglese (degli Stati Uniti per la precisione).

Allora mi metto a cercare sul web. Provo stringhe come “Debian in italiano”, oppure “localizzare Debian in italiano”, o anche “Debian in italiano su Chromebook” e simili variazioni sul tema. Ma quel che trovo è impreciso ed incompleto, oppure solo parzialmente pertinente. Quindi, non risolvo.

Perso per perso, mi ricordo dell’esistenza dell’intelligenza artificiale e provo a chiedere a Bard: hai visto mai. Quindi apro la pagina e nella casella di domanda scrivo fiducioso (testuale)

Come faccio a localizzare in italiano la distribuzione linux debian nel mio chromebook?

Con mia grande sorpresa, mi arriva una risposta articolata e precisa, con tutti i passi da svolgere. Quel che non ero riuscito ad ottenere con svariate ricerche, lui me lo presenta lì, snocciolato in passi successivi perché lo possa mettere in pratica con soave agevolezza. Infatti, la metto in pratica e funziona.

Funziona.

E capisco che comunque, con tutti i limiti che sappiamo, con tutte le riserve che possiamo giustamente nutrire, è nato qualcosa di veramente interessante ed utile. Che ci farà compagnia per parecchio. E anche di più.

2024


  1. al proposito, ricordo preoccupate dissertazioni sul fatto di come potesse essere “biasimevole” andare in giro ascoltando musica nelle cuffiette, al posto magari di stare in silenzio.

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Pubblicato da Marco Castellani

Marco Castellani, astronomo, divulgatore, scrittore

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