Il bello e (soprattutto) l’utile, nel testo digitale

Mi fermo volentieri sopra un articolo apparso su Kobo News (d’accordo, non un punto di vista esattamente imparziale sull’argomento) a firma di Enrico Pitzianti, perché si pone in modo un po’ diverso rispetto alla vulgata corrente, sul fatto che la lettura su carta sia per molti aspetti, migliore o più “appagante” rispetto a quella che si può fare sui dispositivi digitali, come un lettore ebook. 
E’ pur vero che in un certo senso, anche su questo blog, si è aperta qualche concessione alla specifica modalità della lettura su carta, cosa che non si intende ritrattare adesso. 
Leggere in digitale apre un mondo nuovo, ma non così sconfinato come sembra…
L’articolo è interessante perché si muove nell’ambito del pensiero complesso, che tiene conto della potenziale diversità dei fattori in gioco, della loro irriducibile variabilità. Ovvero, dire che un libro cartaceo “è meglio” semplicemente, è una semplificazione ormai inaccettabile. Dovremmo piuttosto dire che va visto, caso per caso. 

Un buon libro di solito viene con una copertina interessante, un titolo non banale, un packaging non troppo sciatto, ci fa presagire che ci sia qualcosa che vogliamo leggere, che ci interessa o ci serve sapere. Eppure i controesempi non si contano..

Il problema è tutto nel rapporto tra il contenitore ed il contenuto, e nel capire in che misura esiste e si sviluppa questo rapporto, in che percentuale questa fitta trama di scambio influenzi la fruizione del libro stesso. Abbiamo svincolato queste due entità, d’accordo: ma dobbiamo ancora abituarci alla faccenda. Ed è comprensibile, perché per secoli e secoli, il libro è stato definito, pensato, sognato, amato, nella sua (apparentemente) inscindibile unità di contenitore e contenuto, per l’appunto. 

La faccenda è sempre quella, volendo. E’ che noi rimaniamo abbastanza indietro alle nostre stesse innovazioni. Ideiamo delle cose nuove, è vero. Ma poi fatichiamo per assimilarle, per renderle davvero nostre, davvero parte integrante del nostro vivere. Ci vuole tempo per assimilare davvero un cambio di paradigma, e non appena, subirlo. 
Una cosa che a mio avviso rischia di essere fraintesa, invece è la considerazione riguardo la varietà dell’offerta digitale, 

sul digitale ci sono milioni di libri, spesso rarissimi o del tutto introvabili..

Purtroppo questo è vero appena in parte. Di fatto, moltissimi bei libri, ormai introvabili su carta, non sono mai stati trasportati in digitale, semplicemente perché nessuno ne ha mai rintracciato la convenienza. Sarebbe veramente bello disporre della maggior parte dei titoli mai prodotti e diffusi, nel formato elettronico, ma semplicemente questo non è. 
E probabilmente, non sarà mai. 
Questo è davvero un mio cruccio. Mi piacerebbe poter archiviare in digitale (e riprendere dunque in ogni momento) libri che ho incontrato nella mia vita e mi hanno dato qualcosa, o più di qualcosa. Magari in quel momento, per quel me stesso che ero, mi parlavano in modo particolare. Sicuramente libri con i quali ho intessuto un rapporto denso, saporito, pieno. Chessò, un romanzo tipo La cosa buffa di Giuseppe Berto (uscito nel 1967), oppure un saggio tipo Perché la vita è meravigliosa di Giovanni Martinetti (dato alle stampe nel 1978), tanto per dirne un paio tra i primi che mi vengono alla mente. 
Ora, a parte che – come una veloce indagine può testimoniare – questi due testi sono difficilmente reperibili anche come libri nuovi, non risultano assolutamente disponibili in alcuna versione digitale. Semplicemente, non sono, per quanto riguarda l’editoria elettronica. E siccome sono passati molti, molti anni dalla loro pubblicazione, è lecito temere che se non sono stati trasferiti in digitale finora, probabilmente non lo saranno mai. 
Questo introduce, in effetti, una seria preoccupazione di perdita di patrimonio conoscitivo. Sono testi (questi sono appena un esempio, ovviamente, potete fare varie prove con i libri per voi più fidati) fuori dall’ambito della archiviazione di conoscenza per riversamento in digitale. Temo questo, che man mano che l’abitudine a preservare i libri cartacei verrà vista sempre più come desueta, la probabilità di perdita di informazione secca, sarà destinata ad aumentare. 
Quindi, tornando a noi: è vero che ci sono moltissimi libri in digitale, milioni addirittura. Ma è altrettanto vero che tantissimi libri di valore aspettano, a volte con assai poca speranza, di rientrare in vita con l’immissione nel circuito digitale. 
Questo, non può essere lasciato solo alla libera iniziativa degli editori, che (giustamente) puntano al profitto. Questa operazione di conservazione e valorizzazione, dovrebbe fare parte di una opera di passaggio al ditigale effettuata senza scopo di lucro e supervisionata da persone di cultura, con lo scopo unico (e lodevolissimo) di preservare il sapere.  Esistono, certo, strumenti come Google Libri, ma c’è da chiedersi se possono (per vari vincoli di diritti o per altro) veramente essere la via per colmare queste lacune. 
La possibile risposta, ma c’è tanta varietà sui digitale, scegli qualcos’altro ultimamente non regge: e questo, proprio per quello che dice l’articolo, in chiusura,

ciò che conta non è leggere, ma cosa si legge.

Preservare la possibilità, per tutti, di dire voglio leggere esattamente quel libro (perché nel mio percorso ora mi serve questo, per studio, per mille altre ragioni), vuol dire preservare una grande libertà, per tutti.
Al di là delle valutazioni sulla differenza di stili di lettura, il digitale forse – come sua intima, anche se negletta vocazione – è chiamato proprio a questo.

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Pubblicato da Marco Castellani

Marco Castellani, astronomo, divulgatore, scrittore

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