Proseguo idealmente, in questo post, il discorso già avviato con il post precedente, ove si parlava bonariamente delle bufale espresse da taluni pronunciamenti dell’intelligenza artificiale.

Va chiarito in questa sede che l’intento non è appena far vedere che vi sia un certo grado di inaffidabilità in quanto viene fuori da questi moderni oracoli, anche se questo è già importante, se mette nella nostra testa una nota di prudenza. L’intento è mostrare come siamo di fronte ad un prodotto mirabolante, terribilmente utile ed interessante, ma che è in fase di crescita e richiede dunque molta accortezza, nell’uso.

In pratica, tutto potrebbe essere riassunto in un motto, quando usi l’intelligenza artificiale non spegnere quella naturale, che alla fine dice già tutto.

Che l’intelligenza artificiale sia utile, è forse… inutile anche dirlo!

Per fare un esempio caro a chi programma, diventa improvvisamente inutile scartabellare poderosi (e polverosi) manuali: se uno non si ricorda una cosa, la chiede, nello stesso linguaggio con il quale lo chiederebbe all’informatico scaltro dell’ufficio di fianco (e senza nemmeno bisogno poi di offrirgli un caffè).

Qual è l’istruzione SQL per mettere tutti i valori di una colonna di una tabella al valore zero?

Ed ecco che Bard prontamente ti risponde. Certo il sito ti avvisa anche di “usare il codice con cautela” insomma non fidarsi troppo, almeno per il momento. Però almeno nel mio caso, la risposta l’ha data giusta.

Tornando al tema, ci sono dei casi in cui effettivamente Bard (per ora mi occupo di quello) prende delle cantonate piuttosto colossali. Dire astronomiche sarebbe del tutto congruente, perché se vedete la domanda…

Quali sono le sonde spaziali funzionanti, fuori dal Sistema Solare?

A questa domanda Bard risponde in modo piuttosto esaustivo, da par suo. Ma se leggete bene, si trova uno svarione colossale. Provate a trovarlo senza leggere dopo la figura, se volete cimentarvi.

La gloriosa sonda Voyager 1 (Crediti: NASA)

Trovato, no? In caso, comunque ve lo dico io. La frase incriminata è la seguente:

Voyager 1 ha già superato la stella Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole, e si sta dirigendo verso il centro della galassia.

Ora qui l’astronomo medio (oltre a saltare sulla sedia) comincia ad accusare pesanti malesseri.

La stella Proxima Centauri è certamente la stella più vicina al Sole (qui dunque ha ragione Bard), peccato però che si trovi comunque – con tutta la sua allettante vicinanza – a più di quattro anni luce da noi. Tanto per mettere la cosa nel contesto, Voyager 1, al momento in cui scrivo, si trova appena a 22 ore luce (e qualche spicciolo), secondo quanto ci dice la NASA, praticamente in tempo reale. Quindi, da meno di un giorno a quattro anni, insomma ce ne passa di tempo (e di spazio, se parliamo di anni luce). In pratica, è come se Bard ci avesse proiettato istantaneamente in un futuro ancora molto remoto.

Il bello però deve ancora venire: se infatti, ripresi da questo sconcerto, chiediamo a Bard, così in modo innocente, finto casual

Quanto impiegherà la Voyager 1 a raggiungere Proxima Centauri?

Beh, lui rinsavisce improvvisamente, e ci snocciola una cifra di 77.000 anni, tempo stimato necessario per arrivare alla stella più vicina. Altro che già passata, insomma. Hai voglia a camminare!

Ma a voler essere pignoli, anche la frase “si sta dirigendo verso il centro della galassia” è sospetta. Bard lo dice come se fosse questione di poco (almeno questo è il senso che ne derivo io). Il punto è che il centro della Galassia è alquanto lontanuccio. Sempre Bard, interrogato nuovamente su questo, senza problema rivela che una sonda come la Voyager impiegherebbe circa 40 milioni di anni per arrivare così lontano. Insomma, come dire che se io esco di casa a piedi, magari per l’orientazione della strada dopo il portone, sono diretto a Parigi. Anzi, anche molto più eclatante di così.

Beh, avete capito. Il bello è che tantissime delle risposte che ho linkato sono utili e precise, una è clamorosamente sbagliata. Ed ovviamente Bard, tra le sue varie preoccupazioni, non ha (ancora) quella di non contraddirsi.

Il che a pensarci bene, lo rende già molto, molto umano.

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