Alcuni astronomi dell’Università di Manchester e di Cardiff hanno appena reso disponibile un nuovo affascinante modo di esplorare la galassia. Il nuovo strumento è raggiungibile online, è stato chiamato Cromoscopio (Chromoscope, in inglese) e permette a chiunque di esplorare la Via Lattea o le zone più remote dell’Universo, in maniera più facile e divertente di quanto fosse possibile finora.
Il sito può mostrare il cielo in un ampio intervallo di lunghezze d’onda, dai raggi gamma di alta energia fino alle lunghezze d’onda più lunghe tipiche delle onde radio.
Una visione a varie lunghezze d’onda della Nebulosa di Orione Crediti: University of Manchester website
Il principale sviluppatore del progetto, Stuart Lowe (Università di Manchester) ribadisce che Cromoscopio è un progetto di natura collaborativa.
“Cromoscopio usa dati da un insieme di osservatori, che includono il radio telescopio gigante a Jodrell Bank” ha detto “questo permette alle persone di esplorare le connessioni tra il cielo notturno che vediamo con i nostri occhi e il cielo che gli astronomi esplorano a diverse lunghezze d’onda, come il radio e l’infrarosso”.
Robert Simpson, membro del progetto (da Cardiff) aggiunge:
“Cromoscopio getta nuova luce sugli oggetti a noi familiari, come la Nebulosa di Orione, la più vicina zona ove nascono nuove stelle. Questa visione dell’Universo è stata familiare agli astronomi professionisti per lungo tempo, ma Cromoscopio la rende accessibile a chiunque”.
Il sito di Cromoscopio è stato presentato alla dotAstronomy Conference a Leiden, in Olanda. dotAstronomy è la più grande conferenza annuale al mondo dedicata ai lavori che combinano la ricerca astronomica di punta con le ultime tendenze nelle tecnologie web.
Senza dubbio uno strumento interessante (consiglio anche la presentazione su YouTube), che si va ad aggiungere ai diversi modi in cui – grazie alle tecnologie più recenti – è diventato davvero possibile farsi una idea abbastanza precisa del lavoro degli astronomi “di professione”, mediante soltanto un computer connesso a Internet, e (soprattutto) tanta curiosità e desiderio di conoscenza…!
Un giorno non troppo lontano, un’intera armata di robot potrebbe trovarsi a sorvolare le alture delle montagne di Titano, la luna di Saturno, attraversare le sue vaste dune, oppure navigare attraverso i suoi laghi. Wolfgag Fink, del California Institute of Technology a Pasadena, afferma infatti che siamo ormai sulla soglia di un decisivo cambio di paradigma nella tecnica delle esplorazioni spaziali automatizzate, così che il prossimo “turno” delle esplorazioni robotiche potrebbe essere completamente diverso da quello che abbiamo potuto vedere fino ad oggi.
In pratica, dalle sue parole si evince come il modo di esplorare lo spazio intorno a noi stia cambiando in maniera rilevante: ci stiamo allontanando cioè dal tradizionale approccio che consiste in una singola sonda robotizzata – dunque senza alcuna ridondanza – che è comandata dalla Terra, verso un approccio radicalmente diverso, che comprenda la possibilità di disporre di tante sonde robotizzate, di basso costo, che possano comandarsi e coordinarsi l’una con l’altra, come pure comandare altri robot dislocati in posti diversi, nello stesso tempo.
Una immagine di fantasia di una serie di sonde e robot che si trovano a lavorare assieme, in maniera coordinata, nell’esplorazione di un “nuovo mondo” nel Sistema Solare… Crediti: NASA/JPL
La cosa interessante, sia sotto il profilo astronomico che prettamente informatico, è che Fink e collaboratori stanno sviluppando un apposito software che dovrebbe permettere ai robots eventualmente impiegati per una missione spaziale, di lavorare indipendentemente ma come parte di un team più vasto. Il software dovrebbe permettere ai robots di “pensare” (le virgolette qui sono obbligatorie!) in proprio, identificare eventuali problemi e pericoli, determinare aree di interesse e mettere in una lista di priorità gli obiettivi meritevoli di ispezioni più approfondite.
Per contrasto, va ricordato come al momento, gli ingegneri possono comandare un robot o una sonda, affinchè porti aventi una lista di compiti, e poi aspettare fino a che tali compiti siano stati portati a termine. In questo approccio non c’è quasi flessibilità nella definizione dei piani, una volta stabiliti, nemmeno in funzione delle cose che si vengono a scoprire nel corso della missione stessa.
L’obiettivo per il prossimo futuro – indubbiamente eccitante – è decisamente diverso: “I robot multipli saranno sulla sedia di comando”, assicura Fink….!
Come saprete, verso le 13.30 della giornata di ieri, la sonda LCROSS, seguendo il suo piano programmato, ha rilasciato un vettore destinato ad impattare sulla superficie lunare, nel cratere Cabeus, nei pressi del Polo Sud del nostro satellite (qui il video distribuito dalla NASA). L’inusuale procedura serviva sostanzialmente a “smuovere” gli strati più esterni della superficie, in modo da permettere un’analisi dello “sbuffo” provocato dall’impatto stesso (con particolare attenzione alla possibile presenza di acqua), da parte della sezione della sonda rimasta in orbita, come pure da altri strumenti a terra e nello spazio.
Il sito scelto per l’impatto di Centaurus, la parte di LCROSS progettata per l’impatto sulla superficie lunare. Crediti: NASA
A testimonianza di questa interessante sinergia, si possono consultare già le press releases del Keck Observatory (che ha usato il telescopio Keck II per acquisire informazioni spettroscopiche in concomitanza dell’impatto della sonda) e del Telescopio Spaziale Hubble (il quale ha dedicato la nuova Wide Field Camera 3 e lo spettrografo STIS per analizzare gli sbuffi di materiale vaporizzato ed espulso nello spazio a seguito della collisione).
E’ forse troppo presto per tirare delle analisi sui risultati ottenuti, come si può evincere scorrendo i vari comunicati stampa, che comunque concordano nell’escludere riscontri particolarmente eclatanti in termini di quantità di acqua presente. Per ora basta sapere che la missione sembra essersi svolta senza imprevisti, secondo le direttive pianificate. E con un piacevole valore aggiunto, come è ormai quasi consuetudine: l’apertura (con le modalità di una “diretta” in tempo reale) alla fruizione al più vasto pubblico, complice Internet, la grande rete che in questi casi – al di là di eccessive enfasi retoriche – svolge effettivamente un suo ruolo nell’ambito della diffusione della conoscenza.
Seconda ed ultima parte di un articolo di Sabrina Masiero Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova
… Successivamente, si passa a Londra e Greenwich nel 1664, dove facciamo conoscenza con due grandi astronomi dell’epoca: Edmund Halley ed Isaac Newton. In una accesa discussione con Robert Hooke (famoso per la legge fisica sulle molle), emerge che quest’ultimo affermava di aver ricavato la legge di gravitazione universale molti anni prima di Newton. Newton, con il contributo economico di Halley, pubblicherà i suoi risultati sulla gravitazione nel grande libro “Philosophiae Naturalis Principia Matematica”, affermando che l’attrazione che Sole e Luna esercitano reciprocamente, non è una proprietà di questi due corpi, ma è universale e vale tanto per i corpi vicini quanto per quelli lontani. Da qui, il termine di “universale”.
Halley si appassionò, fin dall’età di otto anni alle comete. Portatrici di cattivi presagi, dimostrò che esse erano in realtà degli oggetti che descrivevano orbite ellittiche o paraboliche sotto l’azione gravitazionale dei pianeti che tendono a curvare il loro moto (altrimenti, rettilineo) e, di conseguenza, sono oggetti che ritornano nei nostri cieli. Le comete osservate nel 1531, nel 1602 e nel 1682 non erano, in realtà, tre comete distinte, ma la stessa che si ripresentava periodicamente. E fece la previsione di un suo nuovo ritorno per il 1758. La cometa ritornò, consacrando alla storia Halley e la sua cometa.
Nell’ultimo episodio, nel 2009, una maestra mostra ai suoi allievi le recenti scoperte e affronta insieme a loro i temi ancora aperti quattrocento anni dopo il primo puntamento del cannocchiale verso il cielo….
…Storia ancora tutta da scrivere!
Per informazioni e contatti su “Le vite di Galileo” visitate il sito web dell’autore, Fiami: http://www.fiami.ch e quello della Casa editrice CLEUP (Padova): http://www.cleup.it.
Prima parte di un articolo di Sabrina Masiero Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova
“Le vite di Galileo” è il fumetto ufficiale dell’Anno dell’Astronomia 2009 (IYA2009) che lo svizzero Fiami ha realizzato in due anni di lavoro, contattando astronomi, storici della scienza e filosofi. In questi giorni il fumetto esce nella sua versione italiana grazie all’imprimatur della casa editrice CLEUP, Cooperativa Libraria Editrice Università di Padova. Un regalo che la città di Padova (dove Galileo visse “li diciotto anni migliori della mia età” come scriverà due anni prima di morire) e l’Università patavina (dove Galileo fu professore di matematica) fanno al grande scienziato italiano, quattrocento anni dopo le sue più grandi scoperte col cannocchiale, tra il 1609 e il 1610.
Si parla di “vite” di Galileo e non di “vita” di Galileo, in quanto Fiami racconta la storia dell’astronomia in sei grandi tappe: si parte da Babilonia (nel 568 a.C.), dove un bambino di nome Galilosor impara a scrivere nell’argilla umida con un piccolo giunco e a leggere nel cielo. “Il cielo appartiene agli Dei, non toccarlo figliolo!” dice il padre quando si rende conto che suo figlio osserva il cielo e vuole studiare dal tramonto all’alba, non dall’alba al tramonto come fanno tutti gli altri, perché la sua più grande passione sono le stelle che si osservano, appunto, di notte.
Si passa poi ad Alessandria d’Egitto (nel 197 a.C.) dove due discepoli di Archimede, Galilosor e Simpliocios, vanno a trovare il grande Eratostene, allora Direttore della Biblioteca di Alessandria, che mostra loro come riuscì a calcolare la circonferenza terreste. Naturalmente, in poche vignette si intuisce il genio di Eratostene che determinò con un errore di soli 74 chilometri la dimensione della circonferenza terrestre (circa 40.000 anziché 40.074 chilometri, quest’ultimo un valore ricavato con misure più precise e moderne).
La terza tappa è a Kusumapura, in India, nel 499 dove Galilala si intrattiene a parlare di cielo con un grande astronomo dell’epoca Aryabhata, che all’età di 23 anni aveva già pubblicato il primo trattato di astronomia giunto fino a noi. Undici secoli prima di Galileo, Aryabhata parlava già di relatività, quella che sarebbe stata definita più tardi “relatività galileiana”, affermando cioè che se fossimo su una nave e osservassimo una montagna, essa ci apparirebbe muoversi in senso opposto alla direzione di moto della nave.
La quarta tappa è ambientata nella Venezia del 1609. Nell’estate di quell’anno, Galileo viene a conoscenza da alcuni amici che un ottico in Olanda aveva costruito un giocattolo: un tubo con alle estremità due lenti, una concava da una parte, una convessa dall’altra. Abile e veloce, Galileo in pochi giorni se lo costruisce e lo punta verso il cielo. E’ il cannocchiale, col quale avrebbe fatto le sue più grandi scoperte. Il primo oggetto che osserva è, naturalmente, quello più luminoso e grande del nostro cielo notturno: la Luna. Galileo la osserva diversa da come si diceva doveva essere. Non è affatto liscia, ma scabra e ricoperta di montagne: schiere di filosofi e scienziati fino a quel momento avevano affermato il contrario.
All’inizio del gennaio del 1610, Galileo punta il suo cannocchiale verso Giove e, giorno dopo giorno, scopre la presenza di quattro ”stelle” attorno a Giove, che intuisce essere in realtà quattro satelliti del pianeta, come lo è la Luna per la Terra. Questo sistema solare in miniatura fa crollare venti secoli di certezze e apre la strada alla vera indagine scientifica del cosmo….
Bisogna che lo dica… Benchè il mio campo “professionale” di indagine scientifica abbia a che fare principalmente con stelle e galassie, non posso non rimanere affascinato dalle continue scoperte e acquisizioni che le moderne sonde stanno ottenendo nel nostro amato Sistema Solare.
Tutto questo, coniugato con la possibilità, del tutto moderna, di assistere al flusso di immagini e dati provenienti da regioni davvero lontanissime (per il pianeta Mercurio – poi capite perchè lo prendo ad esempio – si parla di distanze superiori a 70 milioni di chilometri, che possono arrivare anche superare i 220, a seconda della posizione nell’orbita) comodamente seduti davanti al computer di casa, magari collegandosi al sito della NASA o di qualche altro ente spaziale.
Un bacino da impatto su Mercurio: immagine acquisita ieri sera dalla sonda Messenger Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington
Certo ci si abitua a tutto, ma pensate uno scienziato di appena una generazione fa, se fosse posto di fronte a tutto questo.. vedere le immagini acquisite dalla sonda Messenger appena ieri sera (dopo aver seguito con curiosità momento per momento l’andamento del flyby sul suo account Twitter), precise e definite, favanti al mio naso… di un posto centinaia di milioni di chilometri lontano. Non continua ad essere sbalorditivo?
This unnamed impact basin was seen for the first time yesterday during MESSENGER’s third flyby of Mercury. The outer diameter of the basin is approximately 260 kilometers (160 miles)
Davvero, è proprio pieno di stelle, là fuori! Sono appena state rilasciate online le prime tre immagini del nuovo progetto di ESO GigaGalaxy Zoom: queste già ci restituiscono un nuovo stupendo panorama dell’intera volta celeste visto dai siti osservativi di ESO in Cile: un panorama di ben 800 milioni di pixel! Il progetto è in fase di sviluppo, ma già è decisamente interessante, e val bene una visita: GigaGalaxy permetterà di ammirare il cielo notturno come viene visto, ad occhio nudo, da alcune tra le migliori locazioni osservative nel mondo!
Una veduta panoramica della volta celeste, la prima immagine del progetto GigaGalaxy Zoom di ESO Crediti: ESO/S. Brunier
L’immagine panoramica a 360 gradi, che copre l’intera volta celeste, rivela come poche altre l’immenso “panorama cosmico” che circonda il nostro piccolo pianeta. La suggestiva immagine serve come introduzione alle prime tre immagini ad alta risoluzione ospitate nel nuovo progetto GigaGalaxy Zoom, lanciato da ESO nel quadro dell’anno internazionale dell’astronomia 2009 (IYA2009). Il progetto ci restituisce una visione mozzafiato della Via Lattea: con questo “strumento” gli appassionati possono imparare in maniera affascinante di quanto differenti ed emozionanti oggetti celesti è composto il cielo, come nebule mutlicolori, stelle in esplosione, residui di supernova, e molti altri, semplicemente cliccando sulle rispettiva immagini.
In tale prospettiva, il progetto cerca di collegare l’esame del cielo notturno fatto ad occhio nudo con tutto quanto si può vedere soltanto con gli strumenti più sofisticati, normalmente appannaggio solo degli astronomi professionisti. La stupenda qualità delle immagini è un doveroso tributo allo splendore dei cielo notturno nei siti di ESO, dove sono localizzati alcuni tra i più efficienti e produttivi telescopi nel mondo.
Nella giornata di ieri, caratterizzata dal primo rilascio delle nuove immagini del telescopio spaziale, gli astronomi hanno decretato Hubble un osservatorio completamente “ringiovanito”, pronto per una nuova emozionante decade di esplorazione…
“Questo è un altro passo importante nella conferma di questa stupenda missione. Noi europei siamo orgogliosi di prendervi parte e ci congratuliamo di cuore con gli ingegneri, gli astronauti e gli scienziati che ci hanno portato fin qui”, ha detto David Southwood, Direttore del reparto Scienza ed Esplorazione Robotica dell’ESA, l’ente spaziale europeo che collabora alla gestione del Telescopio Spaziale Hubble.
Anche alla NASA gli entusiasmi, comprensibilmente, non sono meno accesi: “Questo segna un nuovo inizio per Hubble,” dice Ed Weller dell’ente spaziale americano. “Il telescopio ha subito una profonda rimessa a punto e ora appare di gran lunga più potente che mai – ben equipaggiato per cavarseala bene nella prossima decade”
Bisogna anche dire che gli entusiasmi, tutto sommato, appaiono giustificati: i nuovi strumenti sono decisamente più moderni di quelli che vi erano istallati in precedenza, sono più sensibili alla luce e dunque promettono di aumentare sensibilmente l’efficienza di Hubble. Il telescopio spaziale è ora in grado di completare le osservazioni in una frazione del tempo che avrebbe dovuto impiegare prima della missione di “aggiornamento”. Inoltre, gli scienziati non nascondono anche la soddisfazione aggiuntiva motivata dalla ottima qualità delle nuove immagini (fornite dalla Wide Field Camera 3 e dalla rinnovata Advanced Camera for Surveys) e degli spettri (dal Cosmic Origins Spectrograph e dal Space Telescope Imaging Spectrograph).
Hubble ha davanti a se un cielo meraviglioso… Crediti: NASA/Hubble
Non sono molte, probabilmente, le missioni scientifiche i cui risultati sono stati così numerosi e incisivi, da aver concorso a ridefinire l’insieme delle conoscenze in un dato settore: Hubble è uno di questi, nel campo astronomico. E con la sostanziale “rimessa a punto”, tutto fa pensare che continuerà ad esserlo.
Tutti questi risultati – documentati dalle foto disponibili online – sono una brillante dimostrazione del pieno successo della missione STS-125 effettuata dagli astronauti nel maggio di quest’anno: a loro, e ai tecnici che hanno pianificato la missione, dovremo veramente molto, nella ricerca scientifica d’avanguardia che Hubble promette di poter fare nei prossimi anni…!
Nell’emisfero sud di Marte è di nuovo estate, e intanto si accresce la dimensione del mosaico delle immagini disponibil per la ricerca della sonda “dispersa” sul pianeta, il Mars Polar Lander. Questa sonda arrivò su Mart nel dicembre 2009, ma si persero le comunicazioni in fase di atterraggio, e da allora non se ne seppe più nulla.
Dove è finito il Mars Polar Lander? Si potrà ritrovare? Crediti: NASA/JPL
La cosa forse più interessante, nella notizia di oggi, è che questa ricerca non viene compiuta nel chiuso di qualche prestigioso e remoto laboratorio, ma – in omaggio potremmo dire alla moderna era del web – è offerta a chiunque voglia cimentarsi (previo qualche “addestramento” consultando la documentazione online) nel cercare di districare possibili “candidati” nella marea di immagini che sono state rese disponibili in Internet.
Come recita il post nel blog di HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment, dell’Università dell’Arizona – l’imaging ad alta risoluzione di cui è equipaggiato il Mars Reconnaissance Orbiter) già vi sono state numerose segnalazioni di possibili candidati, che naturalmente dovranno essere vagliate dai ricercatori, per poter capire se una di queste veramente rappresenta la sonda “ritrovata” oppure è un qualche artificio nell’immagine.
Così, la caccia al Polar Lander continua e… chissà se l’approccio “distribuito” di tale compito gioverà a ritrovare la sonda. Certo è che la scienza sempre più spesso – e meno male – si apre a contributi “dei non addetti ai lavori”, che in vari casi si dimostrano a conti fatti, veramente importanti ed efficaci.
Sono davvero rimasto di sasso.. stamattina ho dato uno sguardo al sito di Chandra, e mi ha incuriosito il link View Chandra Images in 3D Wall. Ho seguito il collegamento e mi sono ritrovato in una simpatica collezione di immagini prodotte nel tempo dalla sonda (e ve ne sono state davvero di molto belle, come abbiamo da tempo riportato su questo stesso sito).
Ma la parte migliore doveva ancora arrivare… seguendo i consigli del sito, ho scaricato il plugin Coolirisper il browser (sto scrivendo su un PC con Ubuntu Linux e navigo con Firefox). Dopo un classico restart del browser, sono tornato alla galleria di foto: a questo punto ho potuto attivare l’opzione a pieno schermo e… sono rimasto a bocca aperta! Mi stavo muovendo in una galleria tridimensionale di stupende immagini: con un tocco della barra inferiore la galleria di immagini si muove con uno stupendo effetto grafico. Ci si muove e si allarga un’immagine con movimenti fluidi, veramente l’esplorazione delle foto diventa un piacere. Insomma, consigliatissimo, se volete vedere come la scienza diventi quasi.. arte! A quando trovare una simile possibilità su un sito divulgativo italiano? Speriamo presto…
L’unica cosa che mi viene da pensare, è che ritengo si possa usufruirne se il PC è abbastanza recente e immagino pure debba avere l’accelerazione grafica (ma non so, posso sbagliarmi). Se provate e vi piace, lasciate un commento a questa notizia, magari… 😉