Arrivederci, Yahoo! Gruppi…

E così prima o poi doveva succedere. Del resto, si sa, i tempi cambiano. Ogni giorno che passa, un pezzettino di Internet nella sua declinazione più antica, viene messo da parte. Questo di cui ci occupiamo adesso però, è un passaggio particolarmente importante, che ci fa veramente capire come tutto evolve su Internet, e soprattutto (magari, meno piacevolmente) che nella grande rete niente è per sempre. Un passaggio importante, che però – proprio perché le cose sono ormai cambiate – verrà attraversato quasi senza che nessuno se ne accorga.

Potremmo dire anche che Internet ha fatto proprio – senza volere, probabilmente – il principio dell’impermanenza di tipica derivazione buddhista. Sarebbe da approfondire, ma certo ci porterebbe lontano. Stiamo sul tema.

I gruppi Yahoo! sono stati veramente protagonisti nell’era Internet che precede la nostra. Hanno costituito, di fatto, uno dei luoghi principali dove poter interfacciarsi e discutere con persone diverse, tipicamente polarizzate intorno a punti di interesse specifici (un cantante, un artista, un sistema operativo…).

Le statistiche riportate da Wikipedia (la voce in lingua inglese) possono ancora farci riflettere. Nell’agosto del 2008, Yahoo! riportava come i suoi gruppi vantassero centotredici milioni di utenti, con nove milioni di gruppi in ventidue linguaggi diversi. Davvero grossi numeri, per quegli anni.

Attenzione, quando parliamo di quest’epoca, dobbiamo sempre porre mente  alla diversità del quadro delle coordinate rispetto all’oggi, altrimenti perderemmo la reale percezione delle cose. Parliamo cioè di una epoca (per larga parte) pre-Facebook, o più in generale, anteriore ai social network. Un’epoca dove la gente non era abituata a vivere dentro i social, e si frequentava Internet in modo abbastanza differente da come si fa oggi.

Il fatto che Yahoo! Gruppi (in soldoni) stia chiudendo i battenti, fa capire bene come si sta evolvendo la rete. La polarizzazione intorno a pochi grandi soggetti (Google, Facebook e non molti altri) sta innegabilmente deprimendo la varietà di esperienze e “visioni del mondo”. Il medium è il messaggio avvertiva Marshall McLuhan alcuni anni fa, e questo per noi vuol dire una cosa, vuol dire che la varietà di messaggi possibili è oggi innegabilmente in fase di pericolosa contrazione.

Il cinque di ottobre del lontano 1998 iniziavo la mia sperimentazione dei gruppi (allora si chiamavano  ancora Clubs) aprendo il Mike Oldfield Fan Club, dedicato ovviamente al (sommo) musicista, che aveva da poco rilasciato un capolavoro come Tubular Bells 3. Lo strumento informatico era ancora abbastanza nuovo, considerato che i Clubs Yahoo! erano nati proprio nello stesso anno. Era nuovo ed eccitante, poter riunire delle persone che non si conoscevano, sulla base di uno specifico interesse. Stabilire amicizie, sintonie di intenti, intrecciare dialoghi su vari argomenti, addirittura chattare in un ambiente comune: era sentita come una cose nuova, frizzante. Ora siamo abituati e spesso annoiati dalle discussioni su tutto e tutti, che vengono ospitate su Facebook. Allora era diverso.

Se ci penso. I primi tempi, ogni nuovo utente del gruppo, ogni nuovo messaggio, per me era una festa. Quel senso piacevolmente fibrillante che si avverte nel comprendere piano piano le potenzialità di uno strumento (tutto sommato) nuovo, le capacità di connessione e soprattutto di relazione che Internet stava dimostrando. Soprattutto, quel senso di comunità ancora fresco, direi croccante. 

Era uno strumento che, con gli occhi di oggi, certamente definiremmo spartano. Molto essenziale e schematico, una bacheca con i messaggi, qualche informazione statistica, l’area della chat, e poco di più. Ma lo stesso, era una cosa tutta nuova, luccicante, emozionante.

La pagina del Mike Oldfield Fan Club nel 2001 (Crediti: Internet Archive)

Così negli anni, quante amicizie, quante informazioni, discussioni, quanta umanità è passata tra le maglie di questi Clubs, divenuti nel frattempo Gruppi. Milioni e milioni di messaggi, dopotutto, sono una ricchezza. In un certo senso sarebbe bello che venissero conservati. Catalogati, studiati, anche.

Tuttavia sappiamo bene che Internet non si muove in questa direzione. Fare memoria è qualcosa sulla quale sempre ha fatto fatica, come dicevamo: l’impermanenza è il suo reale paradigma (Internet Archive appunto è appena una felice eccezione). Il rischio è di venire schiacciati in un eterno presente, senza memoria e senza chiara visione del futuro.

La “notizia” è che adesso Yahoo! cancella con un colpo di spugna tutti i messaggi dei gruppi dai suoi server. E alla fine, ce lo potevamo aspettare. Non sono più attuali, non servono a fare business, dunque non c’è interesse a conservarli. Gli utenti dei gruppi hanno ricevuto un messaggio assai fantasiosamente titolato come The Evolution of Yahoo Groups in cui viene argomentata (quanto convincentemente lo lascio a voi) la cancellazione di tutto quanto, come una evoluzione del servizio.  I gruppi rimangono, ma diventano – in pratica – semplici mailing list, dove per giunta non esiste più un archivio centrale di messaggi, a cui poter far riferimento.

Si verifica cioè quello che già più volte è accaduto, e che si basa sul fatto (problematico) che stiamo scrivendo un pezzo fondamentale della storia della comunicazione, ma lo stiamo facendo con logiche esclusivamente commerciali. Logiche per le quali, ovviamente, un segmento importante di storia informatica è appena un ricordo. Qualcosa che non si può più monetizzare, e quindi va rimossa.

A noi, che passiamo attraverso tutto questo, la consapevolezza che le cose non monetizzabili, alla fine, sono le cose che più spudoratamente veicolano l’umano.

E dunque, sono sempre le più preziose.

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Venti anni dopo (i.e., sognare ancora)

No, non si parla del seguito del celebre romanzo I tre moschettieri, di Alessandro Dumas, ma del fatto che Google compie venti anni, e lo fa esattamente oggi. Questa è una delle (non troppo frequenti) occasioni in cui uno può utilmente vantare la sua età non proprio minima per articolare una riflessione ampia sul fenomeno. 
Se non altro, perché, insomma, lui c’era. 

Infatti. Io c’ero. Venti anni sono tanti. Vuol dire che molte persone sono nate e vissute interamente nell’era Google, non sperimentando quel che c’era prima. Per non parlare delle persone che non hanno ricordi dell’era pre-Internet. D’accordo. 
Ma ricordare l’epoca pre-Google è già, di per sé, scavare in un passato (informaticamente) remotissimo. Però può servire, può essere una testimonianza che non tutti possono produrre, di prima mano. Il fatto è questo, comunque: venti anni di Google inevitabilmente, rimandano a quel che c’era, prima
Oggi cercare qualcosa è totalmente sinonimo di usare Google (con buona pace di Bing e dei simili tentativi). E’ automatico. Poi se uno cerca con Chrome, automaticamente chiama il motore di ricerca Google, quindi non se ne accorge nemmeno. 
Eppure, prima, era diverso. Prima c’erano altri motori. C’è stato un tempo che cercare su Internet era sinonimo di cercare con Altavista. A molti questo nome non dirà nulla, Altavista. Eppure era il motore di ricerca su Internet, senza alternativa. Era come Google adesso, pari pari. 
Poi venne l’epoca Yahoo!, o meglio di Internet 1.0. Era lo standard, Yahoo!, delle ricerche su Internet. E aveva piano piano costellato la sua offerta di tanti servizi aggiuntivi, gruppi, chat, giochi, storage (la famosa Valigetta Yahoo! antesignana di Drive, Dropbox, Onedrive e simili, repentinamente scomparsa). Tutte cose che sono appunto sparite o si sono congelate, come i Gruppi Yahoo!, residuo cristallino – quasi un fossile in ambra – una sorta di capsula  impermeabile dell’epoca uno-punto-zero piovuta qui fino a noi, in un tunnel informatico, stranamente persistente.
Poi venne appunto l’epoca Google, che è quella che stiamo vivendo (con aggiunta di Facebook, se vogliamo, Microsoft e pochissimi altri soggetti). Non sappiamo quanto durerà e non sappiamo cosa verrà dopo. Non è chiaro, nemmeno, come queste diverse fasi si avvicendino, quando e perché un soggetto commerciale ceda il passo ad un altro. 
Ma accade. 
Così i venti anni di Google in realtà ci interrogano, a livello più profondo, a capire come mai Internet si è sviluppato e polarizzato in questo modo, ovvero agglomerandosi intorno a pochissime entità commerciali molto potenti, sacrificando quella meravigliosa (e un po’ anarchica) diversità che per molti begli anni è stata la sua principale caratteristica. 
Google ha venti anni e Internet, di suo, ha messo la testa a posto. Anche troppo, secondo alcuni. Ha rinunciato ai sogni, ha abbracciato la logica commerciale (ormai intesa come inevitabile ed incontrastabile), ha perso iniziativa e spontaneità, ha depennato agevolmente l’entusiasmo degli inizi, dove bastava una buona idea per realizzare un progetto di successo sul web. Del resto, oggi il web è così complicato che nessuno, da solo, può sognarsi di realizzare niente. 
Sarà una crescita, sicuramente, ma c’è anche tanto rimpianto, tanta nostalgia dei tempi passati. Google è maturo, ma noi ci permettiamo di rimpiangere i tempi in cui era ancora bambino.
Tempi in cui fiorivano mille e mille progetti, in cui ogni giorno sul web si incontrava, davvero,  la creatività in azione. Oggi il commercio ha preso il posto dell’inventiva, non si sogna più come un tempo. E’ un business, Internet, non una palestra di invenzioni. 
I giganti hanno spazzato via la panoplìa allegra ed irregolare dei piccoli. 
Forse, un’altra epoca può arrivare, deve arrivare.
Se non smettiamo di sognare, però.

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Sbagliando… divertendosi!

Si possono imparare molte cose anche dagli sbagli: questa è una regola di vita praticamente assodata, e non serve certo ribadirla in questa sede. Però ha una declinazione interessante anche nel web: così, in maniera simile a quanto abbiamo fatto per i siti di Ubuntu, Apple e Microsoft, vediamo un pochino cosa succede quando digitiamo l’indirizzo di uno dei famosi motori di ricerca, appendendo volutamente alla URL una stringa di nessun significato (ovvero cercando nel dato dominio una pagina chiaramente inesistente). Il server ci deve rispondere che quella pagina, naturalmente, non c’è. Abbiamo fatto una richiesta sbagliata. Ma come gestisce il nostro sbaglio? Questa è la parte interessante, secondo me.
Un esperimento facile facile…
Allora proviamo con Google, inevitabile prima opzione. Ecco cosa accade:

Un robottino triste e spezzettato (o meglio, triste perché spezzettato, con ogni probabilità) ci accoglie informandoci che la pagina che cercavamo non esiste sul server. Non manca neanche il dettaglio tecnico: è un errore “404”, pagina non trovata. Ad ogni buon conto, conclude con “è tutto quello che sappiamo”. Come a dire, ci spiace, ma la questione è chiusa.

Andiamo ora su Bing, il motore di ricerca Microsoft. Cerchiamo una pagina inesistente e vediamo cosa accade:

Ci accoglie giustamente in italiano, intanto. In maniera sobria ci dice che la pagina non esiste, e si mostra volenteroso per aiutarci a uscire dall’errore in cui, evidentemente, ci siamo incastrati. I suggerimenti sono un pò generici, ma non si può chiedere di più, perché il povero Bing non ha idea, in realtà, di come mai siamo finiti a chiamare una pagina che non c’è.

Cosa fa invece il “vecchio” padrone della rete, i re del web1.0, ovvero il celebre Yahoo! ?

Ecco qui cosa ci presenta:

Stavolta in inglese – ma similmente a Bing – si prodiga in un paio di generici suggerimenti, dopo essersi scusato perchè la pagina cercata non esiste (colpa nostra, a dire il vero, non certo sua). Forse un pochino asettico, come del resto Bing.
Conclusioni
Che dire… sarò di parte, ma la pagina più simpatica secondo me, è proprio quella di Google, che non cerca di aiutarti in maniera generica. Anzi ammette la failure (mia, sua, non è specificato, e forse non conta) con quel robottino simpatico ma triste (tuttavia, il fatto che brandisca una chiave inglese nell’arto meccanico fa pensare che le speranze per una ricomposizione armonica siano tutt’altro che esaurite), e poi conclude laconicamente con “è tutto quello che sappiamo”, da cui però traspare un intento ancora giocoso, a mio avviso.
Di converso, le pagine di Bing e Yahoo! mi fanno pensare ad un ambiente tipicamente da “ufficio” piuttosto serioso e non molto esaltante (mi perdonino quelli che hanno esperienza di uffici frizzanti, non vorrei generalizzare). Informativo sì, ma non troppo, collaborativo certo, ma non troppo; comunque con poco tempo e spazio per scherzare su una richiesta sbagliata. 
Tendenzialmente vengo attratto dalle cose giocose, così la mia simpatia va a Google, senza tentennamenti. Dopotutto, se ho usato per anni linux anche quando era (diciamolo) veramente un’impresa  avere un ambiente desktop veramente operativo e competitivo con altri sistemi, è stato quasi esclusivamente per il senso di avventura e di giocosità insito nel movimento culturale open source
Difatti, se ti diverti, se si desta il senso di scoperta, superi un sacco di ostacoli con una facilità incredibile.
Ora me ne rendo conto: ci voleva un errore, per scoprirlo.

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